Articolo 1 della Costituzione italiana: L’Italia è una Repubblica democratica.
Articolo 139 della Costituzione italiana: La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

Il regime fascista, che in Italia operò dal 1922 al 1943, finì con una serie di eventi che sono stati visti come una rottura dell’ordinamento.
Quando ormai il secondo conflitto mondiale stava per volgere al peggio, il 25 luglio 1943, Re Vittorio Emanuele revocò Mussolini dalla carica di Capo del Governo, facendolo arrestare e sostituendolo con il maresciallo Pietro Badoglio. Forse fu un colpo di Stato perché, sebbene Mussolini fosse stato sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, ciò dette la possibilità al Re di svincolarsi dalle regole fasciste in ordine alla scelta del Capo del Governo.
Badoglio, attraverso la decretazione d’urgenza, soppresse tutti gli organi istituzionali istituiti dal fascismo, annunciando l’elezione di una nuova Camera dei deputati entro quattro mesi dalla cessazione dello stato di guerra. Il tentativo fu quello di ristabilire la forma parlamentare della tradizione statutaria prefascista.
L’8 settembre del 1943 venne firmato l’armistizio di Cassibile con il quale il Regno d’Italia cessò le ostilità con le forze Anglo-Americane. L’armistizio gettò nel caos l’Italia. Vittorio Emanuele III, la Corte ed il governo Badoglio fuggirono a Brindisi. Il Paese era diviso in due: Il sud, ormai liberato dagli alleati, formalmente era sotto la sovranità sabauda, sebbene il Re fosse stato privato, proprio a causa della stipulazione dell’armistizio, del potere statutario, mentre l’RSI (Repubblica Sociale Italiana) era formalmente guidata da Mussolini.
Il potere regio risultò pertanto fortemente delegittimato a causa delle scissioni interne al territorio della nazione, mentre la capitale si trovava ancora sotto il controllo tedesco.
Fu proprio allora che in Italia iniziarono, sebbene esistesse ancora un divieto a tal proposito, ad affermarsi nuovi partiti italiani che si unirono nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che chiese l’avvio di un nuovo processo costituente.
Con il riconoscimento del Governo Badoglio da parte dell’Unione Sovietica, si pervenne, nell’aprile del 1944, ad un’intesa che prese il nome di Patto di Salerno o Tregua Istituzionale, tra Il Governo e il CLN. Nell’intesa si decise di convocare, a guerra finita, un’Assemblea Costituente, sospendendo fino ad allora, la c.d. “questione istituzionale”, ovvero la scelta tra la monarchia e la repubblica.
Il Re, essendo effettivamente troppo compromesso con il fascismo, si ritirò e nominò luogotenente, il 12 aprile 1944, il figlio Umberto.
Nel secondo Governo Badoglio, entrarono gli esponenti del CLN.
Il 18 giugno 1944 si istituì il primo Governo Bonomi costituito interamente dal CLN che decise, attraverso il decreto luogotenenziale 151/1944,  l’emanazione di una Costituzione provvisoria che, indicendo l’elezione dell’Assemblea Costituente a suffragio universale (aperto per la prima volta in Italia anche alle donne) e diretto, predispose le regole per la successiva produzione normativa.
Dopo la Liberazione, avvenuta il 25 aprile del 1945, il Governo Parri si trovò a fronteggiare una forte instabilità politica. Rilevante, dal punto di vista istituzionale, fu l’istituzione della Consulta nazionale che svolgeva la funzione di organo consultivo del Governo. Risale proprio a questo periodo la legislazione preparatoria del processo costituente che predispose, ad esempio, la legge elettorale proporzionale per l’elezione dell’Assemblea Costituente e per il suo funzionamento; la disciplina del referendum istituzionale.
Il 16 marzo 1946, il principe Umberto decretò che la forma istituzionale dello Stato sarebbe stata decisa mediante referendum da indirsi contemporaneamente alle elezioni per l’ Assemblea Costituente. Ma, alla vigilia delle votazioni, il Re, contravvenendo ai patti, nel tentativo di separare la sua responsabilità per l’avvento del del fascismo da quelle della Corona, abdicò, succedendogli e facendo cadere la luogotenenza, Umberto II.
Il 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe luogo il referendum che poneva la scelta secca tra monarchia e
repubblica. L’esito del referendum vide vincere con 12.717.923 voti la repubblica a dispetto dei 10.719.284 voti espressi a favore della monarchia, anche se a lungo i monarchici contestarono la regolarità nei conteggi.
Il Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi assunse provvisoriamente il potere di Capo dello Stato e il Re lasciò il paese.
Con il referendum istituzionale venne eletta anche l’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto scrivere la Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Con la Costituzione venne segnato il passaggio tra due fasi storiche differenti che pose fine al potere costituente, unico potere libero, e diede luogo al potere costituito. L’esito del referendum istituzionale pose un limite alle scelte che l’Assembea avrebbe potuto compiere in Italia, limite che si trova trascritto nell’art. 139 della Costituzione italiana.
Qualcuno tra i monarchici aveva immaginato di poter aggirare l’ostacolo dell’ultimo articolo della Costituzione, prima abrogandolo e successivamente sostituendo le istituzioni repubblicane con quelle monarchiche.
Cosa che non sarebbe mai potuta avvenire senza rompere la legalità costituzionale.