Enea , si trascina dietro un destino che è stato scritto secoli fa; i suoi passi ricalcano il terreno calpestato dall’eroe Virgiliano, i suoi tormenti sono gli stessi del Troiano che dovette abbandonare la sua terra d’origine per cercare fortuna altrove, le sue pene d’amore rivivono nel tormento di un amore abbandonato, rimpianto e mai dimenticato.Ancora una volta, nel terre di Cuma, laddove un tempo si compiva la magia di Apollo tramite la voce di una donna chiamata Sibilla, il nostro giovane e contemporaneo eroe ritrova voci e parole femminili che confondono e chiariscono al contempo.
Quando t’ho vista per la prima volta ho provato una strana sensazione. Sarà che non mi guardo spesso intorno. Sarà che rimangono sempre le piccole cose, quelle silenziose, eleganti, note intonate messe lì dove meglio non potrebbero stare. Sarà che le persone difficilmente sono così. È che sento urla laddove si dovrebbe solamente tacere e allora, giù la testa.
Quando t’ho vista per la prima volta, hai messo a soqquadro ogni mia precedente teoria. E non perché tu abbia cancellato dogmi e credenze di una vita; semplicemente sei riuscita a rispettarle e a superarle. Quando ho sollevato il capo per espirare la prima boccata di sigaretta, sei comparsa lì davanti. È un esercizio che faccio spesso. Guardare il fumo espandersi sopra la mia testa mi dà un’importante senso di profondità. Mi fa sentire meno in gabbia. La prima sensazione che ho avvertito è stata quella classica. Eri fuori posto, non avevi alcun senso lì. Un grido insopportabile. La questione è che, nello stesso tempo, non avrei potuto aspirare ad altro se non all’incoerente bellezza che scaturiva dal fatto che la tua voce stonata aveva donato qualcosa di unico a un luogo che, seppur magnifico, non avrebbe mai potuto arrivare a brillare così. È lì che ho capito l’importanza della contraddizione; un pezzo mancante di un puzzle, una sfumatura impercettibile, una porta sull’abisso. Nessuno mai t’avrebbe messo lì. La tua evidente irrequietezza non avrebbe convinto mai nessuno. È per questo che hai deciso di andarci da sola. Ci sono cose che vanno percepite, non è mica facile. “Odi et amo”, il contrasto dei sentimenti indipendente dalla volontà. Presi atto di non poterci fare niente. Da quel giorno sarei stato per sempre vittima della stonata bellezza di chi, senza pudore, sporcava un mondo perfetto con l’unico, involontario intento di spezzare un antico sortilegio per darne vita ad un altro.
Quando qualcuno, incuriosito, si avvicina per parlarmi, lo avverto già a una certa distanza. È una sorta di meccanismo di difesa che fa in modo che possa lottare o fuggire da una situazione sicuramente poco gradita. Per la prima volta mi trovavo dal lato del disturbatore; ma non potevo farne a meno. Mentre m’avvicinavo sapevo già che avresti attivato i tuoi super poteri da eroina sfuggente. Sapevo che, almeno sotto questo punto di vista, eri uguale a me. Lo si capisce subito. Quando finalmente presi posto al tuo fianco, il tuo volto non fu tradito da alcuna smorfia. Avrei voluto dire qualcosa, ma anni di silenzi non giocavano certo a mio favore. Quando alzasti la testa mi guardasti con aria approssimativa, dicesti che si vedeva subito che non ero di qua. Io risi perché già senza parlare avevi percepito il mio essere fuori posto. Proprio come te. Un timido Sole iniziò a sfiorarti il viso e vennero fuori dettagli fino a quel momento sconosciuti. Avevi occhi verdi tendenti al marrone e delle piccolissime efelidi che vanamente provavi a nascondere col trucco. Provai a contare i buchi alle orecchie ma dopo poco tempo perdevo il conto. Mi piaceva immaginare che ogni orecchino avesse una storia dietro. Quando iniziai a esagerare non esitasti a farmelo notare.
“Ho contato tanti Lunedì e questo non è mai un buon segno. Quando sarà vietato affrontarli da soli, chiuderò i rubinetti dell’ansia e tirerò un lungo sospiro riuscendo a non aprir bocca. Fino ad allora sarà solo un lungo Lunedì senza fine. Lungo, come le ore senza te”.
Ti osservai recitarla senza parlare. Non so cosa avessi voluto dire. Non so perché così all’improvviso. Quando te lo chiesi, mi rispondesti semplicemente che quel giorno era Lunedì e niente, non era altro che una sciocca improvvisazione. Ti dissi contrariato di non essere uno stupido e tu di tutta risposta affermasti che proprio per questo motivo non avrei dovuto fare altre domande. Da che pianeta venivi, meteorite intergalattico ? Per qualche minuto stemmo in silenzio e poi mi domandasti come mai ero lì. Io provai a giocare con le tue stesse carte; ma con evidente minor eleganza rispetto a te. Quando notasti la mia difficoltà, dicesti che non era più importante. Tanto ci si legge in faccia perché siamo qui. Siamo stati fatti tutti per qualche strano e assurdo motivo e la nostra faccia non può tradire quello che siamo e saremo. Di certo tu avevi fatto un bel lavoro. Potevi essere chiunque e sono sicuro che in effetti era così. Di giorno Sole e di notte Luna. Ma chi eri veramente, vittima o carnefice? Avevo il fumo alle tempie.
Probabilmente eri entrambe le cose.
Solo uno stupido poteva pensare a una così netta divisione della vita e io non lo ero diventato di certo da un giorno all’altro. È solo che quel concentrato di bipolarità stava mettendo alla prova la mia sanità mentale. Eri capace di soffrire e gioire nello stesso momento. Un andamento ciclico che non lasciava spazio a una minima crepa. Nessun pertugio da cui entrare per scoprire chi eri e cosa t’avessero fatto per parlare così. Per guardare così. Per sorridere così. Per sentire ogni minimo battito d’ali, ogni piccola mutazione del vento così. Era sicuramente questa l’unica soluzione. Avevi vissuto milioni di vite contemporaneamente e ora raccoglievi dentro il tuo piccolo corpo tutti gli stati d’animo esistenti dalla creazione del Paradiso Terrestre e forse anche prima. Mi chiedesti se avevo paura. Ti risposi di sì, come sempre. Solo che ora non bastava più. Mi guardasti e sorridesti. Poi distogliendo lo sguardo dal mio dicesti che non me ne sarei mai liberato, qualunque fosse stata la mia condizione, il mio stato d’animo, la mia razionalità.
È un meccanismo intangibile, che non puoi conoscere, vedere, avere. Sarà sempre con me. È il prezzo da pagare perché tutto vibri ancora dentro. E non possiamo fare altro che accettarlo. Come degli stupidi. Io di certo non mi sentivo tale, a parte in quel momento. Avevo comunque capito cosa volessi dirmi. Se ho intrapreso questo viaggio è stato proprio per questo. Ho scelto l’incertezza, la paura, per arrivare a percepire sensazioni che altrimenti sarebbero per sempre rimaste sconosciute. Quando provai a capire qualcosa in più, ti gettasti verso di me e baciasti entrambi i miei occhi accompagnando la tua mano dietro la mia nuca.
“È stato bello parlare con te, ci si vede”.
E quasi come se in realtà non fossi mai esistita, sparisti dopo pochi passi. E chissà se non è realmente stato esattamente così.
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