Conoscere Ivan Cotroneo significa togliere un velo trasparente da una scultura. Un’opera che hai sempre guardato e ti sei sempre illuso di conoscere, eppure ne avevi sempre avuto solo una percezione limitata e distante.
Accade così, solitamente, per gli autori di cui hai letto o visto molto. Conoscerli è un meccanismo di svelamento un po’ perverso, che ti costringe a guardare chi hai sempre guardato attraverso un filtro e tentare di far coincidere il prima e il dopo senza tradire e le tue idee e la verità. In questo caso, senza delusioni.
Anche chi non conosce il suo nome, ha quasi sicuramente guardato un film o una serie tv che ha diretto o sceneggiato, o letto un libro che ha tradotto.
Autore di vari romanzi (tra cui “Cronaca di un disamore”, “La kryptonite nella borsa”, “Un bacio”), regista (“La kryptonite nella borsa”, “Un bacio”), sceneggiatore di film (tra cui “Mine vaganti”, “Io viaggio sola”, “Io sono l’amore”, “Io e lei”) e di serie per la televisione (tra cui “Tutti pazzi per amore”, “Una mamma imperfetta”, “E’ arrivata la felicità”), Ivan Cotroneo ha fatto della sua penna un tratto distintivo e nuovo della cultura italiana, popolare e non, delineando i contorni di un diverso modo di concepire il racconto, mescolando ironia e crudezza, verità e drammi dalla morale mai ostentata, forse nemmeno osata.
L’ho incontrato per la prima volta al liceo, quando venne in una scuola della mia città a parlare del suo romanzo “Cronaca di un disamore”. L’ho poi rivisto di sfuggita a qualche sua presentazione. Ora lo incontro, nove anni dopo la prima volta, mentre è a Napoli, la sua città, per presentare in anteprima “Un bacio”, il film tratto dal suo omonimo romanzo.
Miracolosamente, o forse per quell’attitudine al dettaglio e al ricordo che hanno solo i cantastorie, si ricorda di me.
Volevo iniziare questa intervista con “lei sicuramente non si ricorderà di me, ci incontrammo quando ero uno studente”, ma ora non posso più.
In questi nove anni, pieni di esperienze professionali, com’è cambiato Ivan Cotroneo?
Molto difficile dirlo.
Le esperienze di questi anni sono state molto importanti. Da un lato sono diventato più consapevole di quello che voglio scrivere, ho un maggior controllo sulle cose che racconto, cose che non derivano direttamente dal mio vissuto ma che comunque fanno parte di quello che mi circonda, ed è come se le avessi vissute io.
E’ cresciuto anche il mio senso di responsabilità, perché quando scrivi storie e sei fortunato perché queste vengono lette, viste al cinema o in tv, senti una responsabilità maggiore di raccontare una certa visione del mondo.
Il suo romanzo “Un bacio”, il cui film è uscito nelle sale il 31 marzo, è una storia i cui protagonisti sono adolescenti considerati diversi.
Come è stata la sua adolescenza?
E’ stata un’adolescenza un po’ solitaria, un po’ sofferente, come credo quella della maggior parte delle persone.
Non ho subito eventi traumatici o atti di bullismo.
Proprio per questa mia adolescenza non particolarmente traumatica, mi capita di sentirmi vicino a chi invece la vive in modo più difficile.
Un po’ della sua famiglia emerge anche dal suo romanzo “La kryptonite nella borsa”, da cui è stato tratto un film di successo che lei stesso ha diretto.
Che ruolo ha avuto la famiglia nella sua attività di raccontare e che ruolo ha, invece, la famiglia nella vita degli adolescenti di oggi sempre più esposti a episodi di bullismo o violenza?
Sono stato molto fortunato: la mia famiglia è stata un luogo di confronto e ha sempre appoggiato le mie scelte. Mi ha sostenuto anche quando ho lasciato la facoltà di giurisprudenza per andare a Roma a studiare cinema.
Ho vissuto in una famiglia ricca di persone diverse, in una casa dove c’era sempre qualcuno e questo mi ha abituato a vedere la vita e me stesso anche con gli occhi degli altri.
Per gli adolescenti di oggi le famiglie sono importanti. Spesso ci sono famiglie amorevoli che non si lasciano spaventare dalla diversità dei figli, ma la società può mandare messaggi di esclusione.
C’è ancora nel mondo della letteratura, del cinema o della televisione una censura diretta o indiretta su determinati temi?
Non credo.
A volte c’è più che altro una sorta di autocensura nel trattare determinati argomenti: alcuni autori non hanno interesse o preferiscono diversi temi.
Tuttavia, a livello personale, non trovo censure.
Cosa pensa delle polemiche sulla legge Cirinnà e sul modo in cui è stata modificata?
Sono stato sin da subito un sostenitore di tale legge e ho sempre ritenuto l’istituto della stepchild, poi eliminato, un requisito importante.
Ma anche il testo così come è stato modificato è importante per iniziare a cambiare le cose. Non c’è dubbio che la legge che sta passando sia un passo fondamentale.
Non vedo l’ora che passi e che vi sia una base per raggiungere poi l’obiettivo della piena eguaglianza.
Abbiamo iniziato questa intervista parlando del passato, nove anni fa. Come si vede, invece, tra nove anni?
Non ne ho idea.
Vorrei continuare a raccontare storie, continuare ad avere la voglia, che sicuramente ci sarà, e anche la sensibilità di farlo.
E spero, inoltre, di trovarmi in una società più inclusiva.
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