« Dei 3 film di Kubrick che si possono considerare fantascientifici Arancia meccanica è il più violento e quello in cui parla più del presente, appena caricato di connotazioni future. Come gli altri due, è una favola filosofica che illustra con geniale lucidità il suo discorso sulla violenza e sul rapporto tra istinto e società anche se nemmeno lui, pur nel suo palese sforzo di stilizzazione grottesca, si è sottratto ai rischi che si corrono al cinema nell’illustrazione della violenza. »

dal Morandini, dizionario di recensioni cinematografiche

Stanley Kubrick oltre ad essere un meticoloso e geniale regista ha sempre avuto uno spiccato senso visionario, anticipando metodi e forme di regia per la realizzazione dei suoi film. In Arancia meccanica, pellicola del 1971, il maestro Kubrick ha un’intuizione che cambia le regole del cinema, ma soprattutto della censura.

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i Drughi, Arancia meccanica – fonte flickr

Il film racconta le avventure del turbolento Alex De Large (interpretato da Malcom Mc Dowell) e la sua  banda, i Drughi, teppisti dediti allo stupro, ai furti e all’ultra-violenza,  sempre accompagnati da Ludwig Van Beethoven e le sue sinfonie tanto care al nostro Alex.
Ciò che colpsce particolarmente di Arancia Meccanica è il linguaggio usato dai Drughi; si tratta di  un vero e proprio codice che lascia trasparire allusioni sessuali e un’aulicità incalzante per tutto il film, la pellicola scorre tra violenze e musiche; è per lo più uno slang che fonde parole inglesi con l’aggiunta di pezzi di parole in russo, preso a pieno dal romanzo omonimo di Burgess.

Un episodio chiave per capire la genialità e la massima libertà di espressione che Kubrick chiedeva ai suoi attori, lo troviamo durante la scena dell’aggressione nella villa, inizialmente il balletto e la canzone “Singin’ in the rain” non erano previsti, il regista chiese a Malcom McDowell di dare libero sfogo alla sua fantasia e di portare la scena di estrema violenza ai limiti del grottesco; nasce così, dalla pura improvvisazione, la coreografia e la scena più bella del film, distaccandosi dal romanzo.

Tutto procede per il meglio nelle vite dei 4 amici, fino a quando il resto dei Drughi tradisce la filosofia violenta del loro capo Alex, in cambio di buoni posti di lavoro a servizio dello Stato e ben pagati. Imprigionato, Alex De Large viene sottoposto alla cura Ludovico; forma di terapia dell’avversione, questa consiste nella somministrazione di un farmaco che provoca nausea e obbligo alla visione di film estremamente violenti da parte del paziente, scene crude e prive di ogni sensibilità umana con le sinfonie di Beethoven tanto care al protagonista come sottofondo musicale, in modo tale che il paziente associ a queste musiche sensazioni sgradevoli e di repulsione; provocandogli profondi attacchi di panico, nausea, insomma la violenza giocosa che un tempo lo rendeva felice ora gli scatena una reazione incontrollabile. Tale da devastarlo psicologicamente e fisicamente; che dire? il riflesso condizionato di Pavlov funziona, almeno nella pellicola.  E’ chiaro, infatti, che Kubrick con la cura Ludovico critica aspramente gli Stati che con il proibizionismo e la repressione tentavano invano di risolvere i problemi di ordine pubblico che negli anni ’70 erano frequenti; sintomo di  una vera e propria rivoluzione politico-sociale.
Alla fine delle riprese, mentre si aspetta l’uscita del capolavoro su una società che porta persone comuni all’uso dell’estrema violenza per noia e per ideali artefatti, si abbatte sul film e su Kubrick la scure della censura!
Come per Hitchcock con Nodo alla gola, per Colpo di stato di Luciano Salice, come per Pasolini con Salò e le 120 giornate di sodoma e come accadrà per Bertolucci con Ultimo tango a Parigi la censura vietava l’uscita del film, e solo anni dopo imponeva la visione ad un pubblico di età superiore ai 18 anni. Ma è da qui che parte la genialità e la vera intuizione di Stanley Kubrick.

Come sappiamo la censura da sempre ci dice cosa e da che angolazione guardare i film, spettacoli teatrali o leggere libri.
Non è un caso che la censura sia servita ai regimi dittatoriali, che prima di tutti, forse, hanno capito l’influenza che le pellicole cinematografiche potevano avere sulla gente comune.
Nel 1920 venne istituita in Italia la prima Commissione che giudicava preventivamente la proiezione di un film, membri di tale commissione erano soggetti al di fuori delle istituzioni: un magistrato, un educatore, una madre di famiglia, due funzionari di pubblica sicurezza, un esperto d’arte e un pubblicista; tale Commissione aveva il compito i vagliare il copione, quindi la censura poteva agire già prima che cominciassero le riprese.

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Propaganda cinematografica durante il fascismo – fonte archivio luce

Il regime fascista non fece altro che confermare tale Commissione, avendo intuito la potenza comunicativa del cinema la utilizzò come vero e proprio mezzo di propaganda.  Quando la censura durante il ventennio fu affidata al Ministero della Cultura Popolare fu introdotta una norma che prevedeva la possibilità di revisionare tutte le fasi realizzative della pellicola; in pratica, potevano anche essere interrotte le riprese di un film. Nacque così il primo divieto di visione ai minori di 16 anni.
Durante tutto il ventennio la censura si inasprì sempre di più in senso preventivo e per imprimere alle folle i valori del regime, la censura diventò a tutti gli effetti strumento di propaganda.

La censura ha attraversato il secolo delle grandi guerre, delle grandi invenzioni  e del progresso; comincia una sorta di rivoluzione in questo ambito, nuove leggi cominciano a regolamentare la censura pur tenendo fede ai paletti imposti dal regime, sorprendente vero?
Nonostante l’articolo 21 della Costituzione italiana sancisca la libertà di stampa e di espressione in tutte le sue forme,  un altro piccolo “regime” mette il divieto ai film, la Chiesa che fece una forte pressione per l’inserimento di un comma dell’articolo 21 sopracitato che mette un divieto a tutti gli spettacoli e alle manifestazioni contrarie al buon costume. Anche stavolta un’istituzione poco addentrata nella società reale mette dei divieti alla promulgazione delle nuove forme di cultura che ci ha regalato il ‘900.
Avvicinandoci ai nostri giorni, nel 1962 fu emanata una legge sulla revisione di film e spettacoli teatrali, seppur con qualche modifica tale legge resiste ancora oggi. La Commissione che regola tale revisione cinematografica fa capo al Ministero per i beni e le attività culturali; la pellicola è sottoposta a un esame, quasi come un processo ci sono due gradi di giudizio, per censurarla o proibirne la visione ad un pubblico al di sotto dei 14 anni. Nel luglio nel 2007 è stta apportata una modifica interessante alla legge del 1962, che impone alle produzioni cinematografiche stesse di indicare se la pellicola sia adatta alla visione di un pubblico di bambini e adolescenti.

Ma non tutte le censure vengono per nuocere.
Negli USA, troviamo un esempio di censura che non ha per niente danneggiato il prodotto; nella metà degli anni ’80  la Parents Music Resource Center (commissione per la tutela dei minori) stabilì che venisse applicato un adesivo – Parental Advisory Exsplicit Content   sui  dischi di musica metal che contenevano frasi esplicite e che potevano in qualche modo istigare alla violenza. Non fu affatto un male, il ragazzino che voleva essere ribelle sapeva esattamente cosa comprare. La censura, quindi, ha due chiavi di lettura, il divieto e lo stimolo alla conoscenza dell’elemento censurato.

Kubrick lo aveva capito già 15 anni prima.
Intuì che il clamore intorno alla pellicola di Arancia Meccanica suscitato dalla censura avrebbe incuriosito le folle più di ogni altra campagna pubblicitaria; l’attesa per l’uscita del film, il divieto imposto ad un pubblico assetato di conoscenze, di nuove forme di cinema e di arte colloca Clockwork Orange (titolo originale) nell’Olimpo dei cult-movie e consacra Stanley Kubrick come Maestro visionario e geniale di una regia sempre all’avanguardia. Insomma la censura ha dato vita longeva al film; ma la critica, il successo, il progresso fermano con spiccata naturalezza ogni censura.