C’era un ragazzino del Vomero che non aveva paura di sognare in grande. Non si rendeva certo conto del suo talento, ma comunque osava.
Osò abbandonare gli studi di economia per dedicarsi al cinema. E non è certo facile inseguire i propri sogni quando già a 17 anni si resta orfani di padre e di madre. Il ragazzino diceva sempre che Napoli non è un luogo normale, la vita lì la si deve affrontare con una gran dose di coraggio e lui, confessava spesso, era un ragazzo pauroso.
Eppure i sogni l’hanno trainato più lontano delle paure.
Paolo Sorrentino osò a 24 anni ribaltare la sua vita. Osò talmente tanto da superarli quei sogni, passando dai vicoli stretti della sua città ai lunghi tappeti rossi dei grandi Festival.
Osò e divenne regista, sceneggiatore e scrittore di fama internazionale, vincitore di un Premio Oscar, un Golden Globe, un Premio BAFTA, sei David di Donatello e di cinque Nastri d’argento.
Sorrentino iniziò a fare cinema come spettatore. Era infatti nel cinema del suo quartiere che amava perdersi. Gli sembrò la cosa più semplice del mondo, insomma il cinema non richiedeva tanta tecnica come saper suonare il violino, chiedeva solo una storia da poter raccontare. E lui ne aveva tante.
E così che alla fine degli anni 90 iniziò a girare dei cortometraggi come “Il verificatore”, a fare esperienza in Rai, a farsi spazio in un mondo che non era più piccolo come la sala del cinema del suo quartiere, non era più seduto in platea a godersi il film ma c’era dentro.
Nel 2001 arrivò il primo film “L’uomo in più” con Toni Servillo, protagonista di molti film del Sorrentino e amico dello stesso. Il film era ambientato a Napoli, perché tutto inizia sempre da casa, dal punto di partenza, anche se c’è il ritratto di una Napoli diversa, un po’ spietata degli anni 80. Sorrentino tratta sempre di temi inaspettati, di storie che fanno a pugni con la normalità, come questo film che si declina in due storie diverse ma in entrambe è il caso a deciderne la sorte.
Di lì un susseguirsi di grandi successi, di premi e riconoscimenti. Il suo talento alternativo si face spazio sugli schermi prima d’Europa e poi del mondo intero. “Le conseguenze dell’amore”, “Sabato, domenica e lunedì”, “Il divo”, sono le pellicole girate con l’attore Toni Servillo, insieme ad uno degli ultimi capolavori “La grande bellezza” presentato in concorso al Festival di Cannes 2013 e vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero, del Golden Globe e il BAFTA nella stessa categoria, di quattro European Film Awards, nove David di Donatello su 18 nomination, cinque Nastri d’Argento e numerosi altri premi internazionali. Molti ritengono questo film “un’esperienza emotiva inedita” un omaggio alla Capitale, intenso quanto superficiale, di un’insopportabile malinconia. Il protagonista è Jep Gambardella, famoso scrittore e critico teatrale, re dei festini dell’alto borgo romano, in una Roma che seduce quanto il protagonista, nella quale Sorrentino si rispecchia. Il regista, come Jep, nella vita finisce con l’annoiarsi di tutto, anche di ciò che è profondo; distrarsi è quello che gli riesce meglio, soprattutto nei vaghi e superficiali rapporti sociali, ritrovando la concentrazione solo nel lavoro.
Tra i film ricordiamo anche “L’amico di famiglia”, “La partita lenta”, “This must be the place”, “Youth – La giovinezza”, opera del 2015 e “Napoli 24”, un’idea straordinaria, 24 registi, ognuno dei quali in 3 minuti racconta la sua visione della città. Napoli si tinge di una pluralità di sguardi, 24 punti di vista che spogliano e snodano la metropoli dalle sue svariate identità.
Sorrentino ne parla come “la mia città radiosa, ricca di desiderio”. Invece tra i suoi di desideri c’è quello di tornarci ma come regista per girarci un film, tuttavia confessa di necessitare prima di trent’anni di “altrove”.
Vive a Roma ma si porta dietro tanto della sua terra, soprattutto le contraddizioni.
E’ un uomo pieno di contraddizioni perché è un regista, ma che non sa amare il set, che paragona ad un circo, un “non-luogo” di piccoli momenti intensi, ma che gli somigliano poco.
È l’uomo delle antinomie perché al cinema, che è la sua casa, preferisce la scrittura che lo fa fuggire attraverso linee e sentieri che la complessità e i limiti del cinema non possono sostenere.
È l’ uomo dei contrasti perché è un regista moderno ma ama l’antico, la nostalgia, la malinconia, la frequentazione del ricordo, ecco perché i suoi protagonisti sono sempre gli adulti, per lui un universo d’osservazione.
Paolo Sorrentino è amato perché è un artista in grado di reinventarsi, e un eterno dilettante, con la fame di chi ha voglia di imparare e inventare dinamiche nuove, che lasciano un gusto mai provato, che un po’ ti mettono in crisi. Come cita Jep nel ‘La grande bellezza’ “ero destinato alla sensibilità”, era destinato alle cose intime, allo squilibrio che dà la scrittura, necessario per perdersi e ritrovarsi, alla banalità dei rapporti umani che poi è tutto quello che l’uomo desidera. Sorrentino è orgoglio napoletano, è l’Italia nel mondo, è una storia che non è per tutti, si eleva ed è proprio per questo diventa arte.
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