E’ il primo Settembre e si alza di nuovo il sipario sulle vite ordinarie di ognuno di noi.
Nel tran-tran frenetico della gente che ha ripreso la sua vita è piena la stazione Centrale; tra i vari annunci dei treni perennemente in ritardo, si sente di sottofondo qualcuno di passaggio che suona una melodia jazz al pianoforte a muro piazzato alla stazione; è al servizio di chiunque voglia rispondere all’invito “suonami”.
Fuori della stazione, piazza Garibaldi è un bagno di Sole.
E’ piacevole percorrere anche alla luce, la strada per raggiungere la metropolitana e la propria destinazione finale.
In questa spensierata mattina di ripresa, è facile il pensiero “Finalmente Napoli sta cambiando”.
Noi, viviamo due capodanni. Uno solare, uno più intimo ed emotivo: il Capodanno settembrino. Il 1 Settembre siamo tutti più carichi di buoni propositi, aspettative nuove, energie positive. Provate a prendervela comoda e passeggiate per la città. Tra i vicoli della città del Sole, tornano alla mente le commedie di Eduardo De Filippo ed il suo volto tremendamente umano nel suo sguardo scuro e nei suoi lineamenti scarni e anche un po’ duri: segno del tempo e del sacrificio.
A tutti coloro i quali chiedono “Allora? Com’è Napoli?” è difficile dare una risposta.
Napoli è come un ricco aristocratico caduto in disgrazia che conserva il suo cappotto migliore per le festività; la sua miseria se la porta dietro con eleganza ed Eduardo questo lo aveva capito benissimo. Il suo amore incondizionato e amaro per Napoli traspariva in ogni sua opera.
Si alzava il sipario, tutto era buio. Poi, all’improvviso ogni cosa assumeva un suo colore.
Il mondo del cinema, così come del teatro, spesso confonde la linea sottile che c’è tra la realtà e la rappresentazione. Ma non è così per Eduardo e il suo teatro. Il suo teatro è Napoli, la poliedrica città; mille volti, mille storie da raccontare, quelle da lui rappresentate.
Una Napoli viva e reale che viene portata in scena senza fronzoli, senza filtri. E’ difficile capirla se non la si conosce.
La magistralità di Eduardo sta nell’aver portato sul palcoscenico la napoletanità senza esasperazione. Mai volgare. E’ raccontata nei piccoli dettagli che fanno sorridere; come l’utilizzo della caffettiera napoletana o il rito della preparazione del ragù il giorno prima per il pranzo domenicale o ancora, il famoso “presepio” che Lucariello tanto odia. O ancora, nel dettaglio di una vestaglia; un cappello o un atteggiamento sopra le righe.
Più di tutto, Eduardo ha elevato Napoli e i napoletani; dandole dignità “europea”. La sua lingua, quella del teatro, a metà tra l’italiano e il napoletano era una lingua universale.
Apprezzato e stimato non solo in tutta Italia ma soprattutto all’estero, numerosi sono gli attori che hanno avuto il privilegio e l’onore di poter recitare con lui; per loro, la più grande eredità di Eduardo.
Un amore sempre presente; anche quando era lontano da Napoli, Eduardo non ha mai dimenticato la sua città d’origine e il suo popolo. Nominato senatore a vita, il 26 Settembre del 1981, dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, Eduardo si è battuto aspramente per la condizione dei ragazzi detenuti nell’istituto Filangieri di Nisida.
Memorabile il suo intervento in aula al Senato
<< Ci voleva una guerra perché gli spaghetti, la pizza con la pommarola, le canzoni, le chitarre e i mandolini invadessero l’Europa e l’America, e mettessero fine finalmente ai luoghi comuni: mandolinisti mangia maccheroni, sfaticati, terroni eccetera. Adesso le canzoni le cantano pure loro, su al Nord>>
discorso di Eduardo De Filippo al Senato, 23 Marzo 1982.
Specchio della realtà di Napoli, il suo teatro. Con sapiente eleganza e amara ironia, Eduardo non ha mai esitato a denunciare i problemi sociali e politici che affliggevano la sua città e l’Italia in generale. Come una catarsi, le sue commedie sono un viaggio alla scoperta di Napoli e di sé. Ci si rispecchia e ci si disarma di fronte alla fragilità umana, la sua debolezza, la sua furbizia, il suo “saper campare” anche a discapito altrui, la disperazione e la miseria di una spaventosa povertà per una guerra finita che non è mai finita e la consapevolezza che bisogna, nonostante tutto, sperare.
Napoli è milionaria allora. E Eduardo lo aveva intuito nel lontano 1945.
Tra i drammi sociali e le difficoltà che da sempre la accompagnano, quella Napoli miserabile ed elegante al tempo stesso, che ha messo a nudo sotto i riflettori con tanta passione e dedizione, si sta finalmente trasformando in una città europea con tutte le sue contraddizioni.
Questo mese, Nella bocca del Vulcano è interamente dedicato al mondo del cinema che da sempre ci fa sognare, declinando la realtà con la rappresentazione, a volte irreale, a volte un po’ banale nel suo lieto fine e infonde speranza anche quando ogni cosa sembra persa.
Proprio come diceva Eduardo,
«Mo avimm’aspetta’, Ama. S’ha da aspetta’. Comme ha ditto o’ dottore? Ha ‘da passa ‘a nuttata.»
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