‘Trick or Treat ‘ esiste una filastrocca insegnata ai bambini da ripetere durante la notte tra il 31 Ottobre e il 1 Novembre, notte di Halloween, di streghe, spiriti vagabondi, morte .
All Hallow’ Eve , da qui Halloween, è, oggi, una festività pagana che ricorre il giorno della vigilia di Ognissanti. Essa unisce alla paura della morte l’allegria per la fine del vecchio anno: secondo il calendario celtico, il 31 Ottobre si concludeva la stagione calda e ci si preparava ad affrontare lunghi periodi di buio e freddo. La tradizione celtica tramanda che durante la notte di Ognissanti, il Principe delle Tenebre e Signore della Morte, Samhain richiamasse a sé gli spiriti dei morti permettendo loro di vagare tra i vivi, comunicando con essi, impaurendoli, facendo loro scherzi. Da qui l’usanza di ‘dolcetto o scherzetto’, più precisamente ‘sacrificio o maledizione’: infatti, i Celti erano soliti lasciare fuori le porte delle loro case cibo e latte per ingraziarsi gli spiriti ed evitare le loro malefatte.
La notte del 31 Ottobre il mondo dei vivi incontra quello dei morti.
I napoletani, dall’835, cioè da quando Papa Gregorio Magno, con l’intento di sradicare il culto di Samhain, modificò il calendario religioso, festeggiano il 1 Novembre come giorno dedicato ai Santi del Paradiso, Ognissanti, e il 2, Giorno dei Morti, commemorano i cari defunti. Ma non necessitano di queste ricorrenze, al contrario dei popoli celti, per incontrare i loro morti.
‘A Napoli i morti stanno sotto i tappeti, sotto le sedie, sotto i mobili ‘ , Eduardo De Filippo. A Napoli i morti stanno nei sogni, potremmo continuare. La dimensione onirica, il sogno, è garanzia di eterno contatto tra il mondo dei vivi e l’aldilà.
Uno dei più famosi cimiteri napoletani è ‘o campusanto d’ ‘e funtanelle , così chiamato poiché in tempi antichissimi vi erano fonti d’acqua, all’interno del quale vi è una zona detta delle anime pezzentelle . Questo vero e proprio ossario ospita i resti di uomini e donne che in quanto poveri in vita non hanno ricevuto degna sepoltura. Era usanza tra i poveri napoletani adottare uno di questi teschi in seguito a precise indicazioni ricevute da un’anima apparsa in sogno. Il rito dell’adozione consisteva nel conferire un nome, un ruolo, una storia al morto, esso diventava così parte della famiglia, in cambio di protezione e fortuna. Infatti fino agli anni ’70 le donne napoletane sostavano al di là dei cancelli del cimitero attendendo che l’anima del cabalista Francesco proiettasse le ombre dei morti che rivelavano i numeri da giocare al lotto.
Si istituiva così un ponte di comunicazione, e reciproco aiuto, tra i poveri vivi e i poveri defunti. Questi ultimi più poveri dei primi in quanto dimenticati dopo la morte. L’oblio tocca a loro poiché non vi è bara o mucchio di terra a conservare i loro resti e attraverso un nome perpetuarne la loro storia, appunto perché poveri.
Nel 1984 in ‘Così parlò Bellavista’, Ggino, venditore di bare a rat, cerca di convincere il professore Bellavista ad acquistare una bara. E’ in vita che ci si prepara alla morte e chi può deve prepararsi al meglio.
Eppure ‘ A morte ‘o ssaje ched’ è? E’ una livella! ‘ poetava Totò. Ovvero, la morte annulla le differenze di carattere sociale, economico, culturale, esistenti in vita. la morte rende uguali. O almeno dovrebbe.
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