“Tutto ciò che è reale è dominato da diversità, questo vale sia per il reale materiale sia per il reale culturale. La diversità proviene dalla variazione, dal mutamento. La diversità può implicare l’incompatibilità e perfino il conflitto, anche mortale. La variazione ha portato il reale ad autodistruggersi in parte con le proprie forze e con i propri mezzi.”
La variazione è il progresso che non intende arrestarsi dopo aver raggiunto uno stato di stasi. Infatti, ogni assestamento produce inevitabilmente nuovi squilibri, nuovi “mutamenti sistemici” o di “campo”, ovvero nuove situazioni che possono essere favorevoli o sfavorevoli per ogni ambito della vita umana.
Il mutamento è infatti lo stadio normale della società. Il mutamento può esservi nella composizione di una popolazione conseguente ad immigrazioni ed emigrazioni; può esservi un mutamento ambientale; un mutamento nella struttura della società conseguente alle ineguaglianze che diventano sempre più ampie oppure un mutamento di confini sociali, inteso come trasmutazione di un gruppo culturale o etnico attraverso fusioni, conquiste o nuove idee di appartenenza.
A tal proposito, basti pensare alla proclamazione avvenuta il 29 giugno 2014, attraverso la fondazione di un califfato guidato da Abū Bakr al-Baghdādī, dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) che può essere definito come un gruppo terroristico islamista nato inizialmente dall’agglomeramento di ex militari dell’esercito iracheno sciolto in seguito allo sventramento del regime sunnita di Saddam Hussein che iniziarono a combattere contro il governo sciita iracheno voluto dagli USA, perseguendo l’obiettivo di liberarsi dall’oppressione straniera e promuovere il nome di Allah attraverso i precetti dell’Islam. La matrice religiosa viene utilizzata dagli esecutori dell’ISIS come pretesto per attuare esecuzioni di massa, attentati e rapimenti, e per fare propaganda ed arruolare nuovi adepti, attingendo anche dal bacino Europeo e, in generale, da quello occidentale, anche attraverso l’utilizzo di internet. La prima prova tangibile della crudeltà dell’ISIS che suscitò sgomento, indignazione e paura a livello mondiale fu la divulgazione del video che vedeva come protagonista Jihadi John, un britannico affiliato allo Stato Islamico mentre decapitava James Foley, un fotoreporter americano rapito due anni prima. Questo è stato solo il primo degli innumerevoli filmati che denotano la crudeltà dell’ISIS e che diffondo rabbia e soprattutto paura a livello globale. Basti pensare agli ultimi attacchi terroristici che hanno colpito la Francia e che, inevitabilmente, hanno reso tangibile il problema della sicurezza sociale. Si vive di paura e, proprio la diffusione di essa, assieme all’inibizione della vita sociale, è uno degli obiettivi che persegue il terrorismo. Paura e aggressività sono inibitori della quotidianità, non ci si sente più al sicuro nei luoghi di riunione o nei luoghi di cultura. Ciò significa che, essendo la società vista come un campo di relazioni e di rapporti tra individui, il mutamento di campo fa sì che si trasformino le forme organizzative precedenti, apportando delle variazioni ai rapporti interpersonali.
Cosa facevi mentre il mondo minacciato dal terrorismo aveva paura? Le risposte a questa domanda sono varie, ma indicano nulla di più e nulla di meno di quello che una persona può fare vivendo la propria quotidianità liberamente. Il problema sorge in seguito. L’immediatezza delle immagini e delle notizie può essere, da un punto di vista sociologico e comunicativo, controproducente. L’uso massiccio che fanno i media delle immagini crude e violenti o i grandi paroloni che aprono i tg o si trovano sulle prime pagine dei giornali, spesso assumono la forma di una vera e propria violenza psicologica, tesa a condizionare e, talvolta, anche a sobillare le persone che sono sempre meno tolleranti verso tutto ciò che è diverso da quello che si conosce. Non si può considerare anche questo come una vera e propria violenza pur non essendo fisica? Aumentano ansie, paure e preoccupazioni, alcune delle quali causate anche dai media che, ad esempio, ci dicono che siamo in guerra; aumentano casi di xenofobia o, recentemente, di islamofobia, neologismo coniato per indicare il pregiudizio e la discriminazione verso l’Islam e verso i musulmani e il rifiuto dei precetti che, per la cultura occidentale possono sembrare discriminatori, offensivi o limitativi della libertà, ma che contraddistinguono una certa tradizione religiosa islamica (ad esempio l’uso del burqa o dello chador indossato dalle donne musulmane). Tutto questo ci fornisce un dato ulteriore, ovvero quello che indica la “rinascita” delle grandi religioni confessionali: il Cristianesimo, in particolar modo quello di destra (basti pensare ai fondamentalismi degli USA) da un lato; dall’altro l’Islam, soprattutto quello radicale.
Tutto questo si riversa, quasi naturalmente, anche sulla cultura. I precetti, soprattutto quelli più radicali, dell’Islam hanno fatto sì che il mondo, soprattutto l’Occidente, prendesse atto, dell’importanza di valori come la democrazia o la libertà personale, di riunione, di soggiorno, di culto (le cosiddette libertà negative tutelate dalla Costituzione Italiana, ad esempio) che rappresentano una componente essenziale di cui ogni singola persona deve poter disporre liberamente, senza che l’esercizio di queste libertà fondamentali subisca un brusco arresto dovuto a fattori incontrollabili dai privati cittadini anche se, purtroppo, sempre più frequentemente, il loro esercizio viene condizionato da scelte prese da altri.
Le libertà di cui godiamo devono essere il punto di partenza dal quale dobbiamo trarre la nostra reazione. Esse sono frutto di conquiste che abbiamo ottenuto nel corso della nostra storia e sono tutto ciò su cui si fonda una società civile.
Il mondo non può avere paura.
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