Avete presente il rumore di uno sparo ? E quello di una botta? Probabilmente sì, ma il vero problema non è il rumore in sé, è l’effetto che fa.
Quest’anno, prima dei botti di Capodanno, sono arrivati quelli del Bataclan e, quel che è peggio, è che hanno “fatto il botto”, come si suol dire, ma nel senso negativo dell’espressione. C’è chi sostiene che il genere “ Death ” esprima rabbia, frustrazione, tristezza: che lo si suoni, canti o ascolti per questi motivi o, semplicemente, perché piace, il detto genere musicale c’entra davvero poco con l’idea di “morte”, eccezion fatta per la parola tristemente e paradossalmente legata all’evento infausto. Insomma, la connessione alla “morte” c’è stata nei fatti a causa dell’efferato attentato, ma non è un concetto che riguarda la filosofia degli EODM (Eagles Of Death Metal), la band che si è esibita lo scorso 13 novembre al Bataclan di Parigi.
Il “ Death metal ”, infatti, è un sottogenere dell’heavy metal fatto di ritmi forti, carichi, per alcuni aggressivi, caratteristiche non del tutto riscontrabili, a dire degli esperti in campo musicale, nelle produzioni della band degli EODM. Essi stessi, in effetti, non si definiscono appartenenti a questa categoria e lo stesso nome da loro scelto quale identificativo sembra più che altro rimandare a ritmi tendenti al pop rock o al country rock, in riferimento agli “Eagles”, il famoso gruppo rock made in USA. Insomma, quella che per molti è diventata “ la band del Bataclan ”, non sarebbe poi così “pesante” come i metalli associati al genere “ Death ” che vede tra le sue componenti principali l’utilizzo di chitarra, basso, batteria e voce gutturale. Rock, dunque, ma non come si intenderebbe a primo acchito leggendo il nome del gruppo fondato a Palm Desert, in California, nel ’98 da Josh Homme (batterista, basso) dei “Queen of Stone Age” e Jesse Hughes (voce, chitarra). Sono proprio questi ultimi a sottolineare il senso di aggregazione che c’è stato quella sera: molti, a loro dire, sarebbero morti per aiutare gli altri, facendosi scudo a vicenda.
Particolare è l’accento che pone Hughes sulla modalità di difesa fatta di “scudi umani” tendenti a proteggersi l’un l’altro, una testimonianza che viene dall’uomo che, secondo alcuni, sarebbe il vero obiettivo della strage. Insomma, alla felicità dei selfie pre-evento ed al fattore aggregante di ogni concerto, è seguito il cosiddetto “botto”. Un rumore assordante quello provocato dagli spari della strage addebitata all’Isis, assordante, ancor di più perché mischiato alla musica del concerto degli “Eagles of Death Metal” che si stavano esibendo al Bataclan, uno dei luoghi scelti per gli efferati attentati terroristici che hanno causato più di 100 morti e più di 300 feriti. Assordante, però, soprattutto perché ha apparentemente risvegliato le coscienze, rendendole in realtà più “sorde” al possibile appello del prossimo che non fosse francese o europeo. La parola chiave è, infatti, eurocentrismo, un fenomeno che, unito all’americanizzazione, miete numerose vittime tra coloro che non pensano con la propria testa e scadono nei fanatismi. Del resto, i fanatismi sono sempre sbagliati, anche se non provengono dall’Isis. Ben vengano il campanilismo, il senso di appartenenza e quant’altro, ma l’ottusità no, quella proprio no.
Di morti, ogni giorno, ce ne sono tanti, troppi, e per le cause più disparate e disperate, molte delle quali potrebbero essere evitate senza troppe difficoltà. Questi, però, sono morti che non fanno rumore, morti “ordinari”, ai quali nessuno dà l’importanza ed il rispetto che meriterebbero. Che dire, per esempio, dei morti sul lavoro o di quelli di molti continenti africani dove si consumano guerre interne? Di quelli, molto semplicemente…. Chissenefrega. Sono morti che non fanno audience o meglio, che non devono farla, pertanto sono morti che vanno nascosti alla e dalla mediaticità. Di eroi anonimi, sconosciuti alla televisione, è pieno il mondo. Ma di quelli si deve tacere.
Un attentato, volendo restare nell’ambito francese, è stato realizzato anche in Mali, ma di stati su Facebook con scritto “Je suis le Mali” non ne ho visti. Almeno tra le mie conoscenze. Solo una persona che conosco ha messo un post che mi ha colpita positivamente: recitava “Pray for Mali” con sotto una bandiera dello stato. Una delle poche menti uscite fuori dal coro dei “bee” mediatici. Il punto non è qui svalutare Parigi o i suoi morti, che nessuna colpa avevano, se non quella di amare gli “Eagles Of Death Metal ”, tutt’altro. Questo avvenimento dovrebbe, probabilmente e giustamente, servire contro ogni forma di violenza, ma ha ottenuto, poiché manovrato mediaticamente, l’effetto contrario. Dunque, dov’è la “peace” tanto decantata dagli stessi “Eagles Of Death Metal”? “ Peace, love and Death metal ”, tra l’altro, è il titolo scelto dalla band per il loro album uscito nel 2004, secondo album in studio. Ognuno ha le sue opinioni, per carità, ma ascoltare in tv frasi del tipo “bisogna radiarli al suolo” in riferimento ai Musulmani, non è cosa da poco. Non a caso, è stata mandata la pubblicità subito dopo la dichiarazione fatta nel corso del programma. E non venissero a parlare di coincidenze. La paura per l’attentato avvenuto si somma a quella dei possibili attentati che potrebbero avvenire, ma ciò che è peggio è che entrambe sono state “sommerse” da un’ulteriore paura: quella del diverso dilagante e sfociante, inevitabilmente, in razzismo.
Tempo fa online lessi: “Terrorista è chi ogni giorno con giornali e tv istiga alla paura del diverso in nome della sicurezza. Terrorista è lo stato“. Inutile dire che sono pienamente d’accordo. I morti sono morti, e come tali vanno rispettati. Punto. A prescindere dal colore, dalla religione e dai loro gusti musicali.
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