“Non è vero ma ci credo”.

Chi è che non l’ha detto almeno una volta nella vita? Nessuno crede mai alla superstizione. Però alla fine lo scongiuro lo facciamo, perché non si sa mai, non farlo porta male! La superstizione per un napoletano è quella cosa sacra quanto il sangue di San Gennaro. E’ antica, è contagiosa,  è radicata nella storia di ogni cultura, è remota quanto conforme al luogo in cui veniva praticata. Non nasce quindi dal grembo di Napoli, ma chiamatela ignoranza, paura, sventura o miseria, dopo gli attacchi di colera e l’eruzione del Vesuvio nel 1872, la “Mala femmina” per ironica difesa trasforma la scaramanzia da frivola credenza a presupposto sacrosanto!

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bottega artigianale a Spaccanapoli- fonte: pixabay.com

Oramai tutte le credenze popolari diventano parte della cultura partenopea e, si, se state pensando che anche per questo siamo esagerati, beh lo siamo!
Se ci fosse una elenco  delle parole più utilizzate da un napoletano, direi che il classico “Tiè”, usato insieme al gesto delle corna come scongiuro, rientrerebbe abbondantemente nella top ten della classifica. Della fortuna si è fatto mestiere e usanza; tante sono le botteghe nelle più famose vie della città, come Spaccanapoli, dove si trovano i classici “corni” napoletani per allontanare il malocchi e iettature rigorosamente rossi, a punta, ricurvi ma soprattutto, sempre per scaramanzia, donati da qualcuno e mai acquistati per uso personale. Ma la superstizione non si tinge solo di rosso, tanti altri sono i simboli fortunati come l’aglio, la scopa, il sale, la spilla. Sicuramente il  progressivo sviluppo tecnologico e antropologico porta a pensare che ci si allontani da certe idee,così antiche e poco concrete, ma le statistiche confermano l’aumento e non la diminuzione di certe credenze.
Viene da chiedersi il perché di tutto ciò. La risposta, in realtà, è molto semplice l’uomo è curioso e a modo suo vive di speranza. Di base c’è la paura, l’insicurezza dell’ignoto che ha sempre un certo peso sull’essere umano. E il napoletano decide semplicemente di affrontarlo con l’ironia di un corno appeso al muro. C’è un messaggio positivo dietro tutto questo; di fronte ad una malaugurio o ad un domani incerto il napoletano non si butta giù ma aspira speranzoso a qualcosa di meglio.

La scaramanzia non è fatta solo di cose ma soprattutto di parole. Non c’è collana d’aglio che non sia accompagnata da una delle più famose formule anti malocchio, che tra le fatture ne rappresenta l’inno:
Aglio, fravaglio,
fattura ca nun quaglio,
corna, bicorna,
capa r’alice
e capa r’aglio

Peppino De Filippo, fratello di Eduardo, in televisione negli anni settanta interpretava il mitico Pappagone, personaggio timido, pasticcione e sfortunato che ogni volta, prima di mettersi regolarmente nei guai recitava questa formula;  l’aglio, infatti, impedisce alle fatture di ottenere risultati positivi, mentre le alici e le fravaglie sono i piccoli pesci e, in quanto tali, simboli di Cristo. E che non si manchi di far seguire alla formula tre sputi e tre gesti di corna fatti con ambo le mani e volti all’ingiù.
Insomma la paura di cadere in qualche disgrazia condiziona molto l’animo napoletano, ma  un pizzico di superstizione non fa male a nessuno, ci si affida  alla fortuna  che è sempre espressione di speranza e buona notizia.
Io non ci credo eh … però ogni  venerdi 17 non esco mai di casa, non si sa mai!