Smettere di domandarsi è tipico di chi ha smesso di vivere intensamente la propria vita.
Immaginiamo l’eroe epico, Enea, nei pressi del Lago d’Averno, quando incontra la Sibilla. A differenza dell’Enea Virgiliano, il nostro è aperto a infinite esperienze. Non nuoterà fino all’Ade, cuore del Lago, per avere tutte le risposte, ma ne rimarrà in superficie. Poiché solo la morte porta alla conoscenza, il nostro Enea decide di abbandonarsi intensamente alla vita, con tutte le domande e i tormenti che essa comporta.
Il sole tra questi fitti alberi mi brucia gli occhi e le mani.Non ricordo come io sia arrivato fin qui, alla riva di questo Lago, il cui alito rende l’aria irrespirabile. Gli uccelli stessi sembrano deviare la loro rotta. Ripenso alla mia casa d’infanzia e la tristezza mi lacera: la società in cui vivevo, mi ha costretto a cercare altrove la mia realizzazione. A niente è servito provare a far qualcosa nella mia stessa città. L’unica soluzione era fondare un nuovo nucleo sociale altrove. Reinventarmi. Inizialmente non mi era pesato fuggire una vita mediocre, rinunciare alla mia famiglia, alle mie radici e all’amore e, per mia ostinata incapacità di venir meno alle responsabilità, so che non devo permettere a niente e nessuno di fermare lo scorrere del mio destino; né all’amore, né alla nostalgia. Ma ora avrei voglia di ignorare gli obblighi morali, di lasciar perdere tutto e di deludere le aspettative senza il minimo rimpianto. Ma come potrei interrompere questo percorso? Durante il cammino, ho visto mio padre morire, ho lasciato che la donna che amavo, morisse per me. Sono perso, solo, spinto con violenza alla rincorsa del mio destino. Non so se ne vale più la pena. Mi abbandonerei all’ombra di questi alberi statici e lascerei che le acque ipnotiche di questo Lago senza vita mi risucchino per mai più sputarmi fuori, cullandomi teneramente come quando, tra le braccia candide e setose del mio amore, avrei volentieri abbandonato la mia sorte e il futuro di tutti quelli che credevano in me, in quello che avrei potuto, o dovuto, fare. Nuoterei fino alla fine del Lago, in questa gola che esala aliti di morte, per giacere su quei fondali inquieti. Se potessi sfiorare la morte e vederne intessuti i volti delle persone che più ho amato, forse scoprirei il senso del mio destino. Mi lascio suggestionare dal clima e dalla natura intorno, tra i vari giochi di raggi di sole, sospesi in apnea tra le dense striature di calore e, immobile, fisso un punto in lontananza che, come un miraggio, continua a cambiar forma: ora è una città, disegnata tra sette colli, così familiare, ma che non ho mai visto prima. Ora è la mia vecchia città, annientata. Ora è mio padre, docile e febbrile. Ora è il mio amore, viva e bella come quando i miei occhi le confessarono la mia devozione e le mie paure. La sola forza che mi anima risiede nell’ansia di trovare una ragione valida per essere qui, ancora una volta, solo. Scansando i rami che mi si parano davanti al viso, tra passi trascinati e una paura bruciante nel petto, inaspettatamente scopro di non essere solo: distante, con le spalle rivolte ai miei occhi, una donna assorta, intenta a guardare la densa distesa d’acqua. Indossa un abito leggero, che l’avvolge morbidamente, accarezzando le curve sinuose del suo corpo. Sembra che qualche benevola divinità l’abbia posta lì in attesa del mio arrivo, come integra e sensuale incarnazione delle mie risposte. Voglio sapere di lei, perché è lì. Forse anche lei è attanagliata dai dubbi e, attraverso le sue risposte, magari capirei le mie. All’improvviso, si volta e mi guarda, come se avesse avvertito la mia presenza gonfia d’angoscia. Non sorride, ma i suoi occhi mi infondono tranquillità. La sua voce muta, mi spinge a muovermi a passo più sicuro verso di lei,verso la riva di quel Lago dove era rimasta a contemplare chissà cosa, forse per ore, o da sempre. Ora, vicini abbastanza, noto una fermezza insolita nei suoi occhi e capisco che non ha mai avuto un dubbio in tutta la sua vita. Appena prima che riesca a pronunciarmi, a chiederle qualcosa, volge lo sguardo da me all’acqua. Sogno di immergermi e rilassare la mente, far si che le acque immobili sostengano il mio corpo, lasciando sui fondali le tanto ambite certezze.. D’altronde, che senso avrebbe vivere, senza mai avere dubbi? Senza mai mettersi alla prova? La donna del Lago, silenziosa, mi prende la mano. Capisco che preferirei la morte, al sonno di una vita piatta, senza domande e tormenti. Insieme ci immergiamo, mi appoggio al suo corpo stabile e chiudo gli occhi. Incerto e perso, non più solo, accudito dal suo sguardo sereno, mi abbandono al pungente profumo del dubbio. Non lascio la sua presa sicura, ma non conosco ancora la sua voce, né le sue risposte.
Non ho alcuna fretta di sapere…non ancora…
Non ho alcuna fretta di sapere…non ancora…
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