Galeotto fu il Vesuvio.
Tanto per Pompei e la sua tragica ed epica storia quanto per i francesi Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter.
Se questi lunghi nomi d’oltralpe non vi dicono niente non vi preoccupate (o forse sì, preoccupatevi, sono famosissimi!) li conoscerete sicuramente con il loro congiunto nome d’arte: Daft Punk.
Immaginate di essere francesi. Immaginate però non la tour Eiffel, la Senna e il jazz manouche ma di trovarvi in Italia, in provincia di Napoli, in un luogo colmo di storia e arte noto col nome di Pompei. Era il 1987, Guy-Manuel e Thomas – entrambi tredicenni – frequentavano la terza media e quell’anno la gita di istruzione più attesa dagli studenti li portò in Italia, precisamente a Pompei.
Si sa, è un’età particolarmente feconda di entusiasmo e di immaginazione per l’essere umano, una fase quasi primordiale e istintiva, si mirava a uscire vivi da quel decennio accomunati dalla passione per la musica e dalla voglia di creare qualcosa di nuovo. Non a caso i ragazzi usavano portare con loro le proprie tastiere digitali in modo da poter suonare ovunque si trovassero. Anche in mezzo alle domus pompeiane.
Lo scenario che li circondava era suggestivo; lo è per chiunque lo osserva la prima volta.
Non bisognerebbe mai abituarsi alle cose, specie quelle più vicine a noi. Si stagliavano le antiche rovine di una città, di una società e di un’idea che il Vesuvio aveva contribuito a spazzare via in una tragica, quanto ancora oggi temuta, catastrofe naturale. Il tutto contornato da un panorama e da un’aura di luogo sospeso nel tempo e nella storia. I ragazzi suonavano i loro strumenti tra una visita al vecchio anfiteatro ed una alla casa del Fauno. E come accade per molti intrecci umani, si resero conto che c’era del feeling musicale tra loro, che potevano suonare insieme o che almeno ci avrebbero provato collaborando l’uno con l’altro. Un po’ come Ray Manzarek e Jim Morrison fondarono i Doors a Venice Beach (guarda caso, altro termine che rimanda alla nostra penisola) in Italia nacque il sodalizio artistico tra i Daft Punk.
Mentre il mondo ballava House, i due si concentravano nella ricerca di un sound nuovo, tecnologico e ballabile. La scena dance ne avrebbe risentito nel decennio successivo. Le prime canzoni scritte dai futuri producers di musica elettronica attualmente più famosi al mondo sono state scritte a Pompei e registrate su tastiere Casio. In pratica era italo-disco fatta da due tredicenni francesi, stimolati dall’esperienza di una sorta di “macchina del tempo”. Ed è un po’ il concentrato sintetico della loro musica: sound vintage in stile moderno, brani ballabili e funky, una musica a 360°. A quanto si apprende, i brani nati delle “
Pompei sessions” non sono più reperibili ed esiste solo un video registrato dal padre di uno dei due mentre eseguono quelle canzoni.Il successo dei Daft Punk è indubbiamente merito del loro talento e genio artistico, che li ha resi una vera e propria icona postmoderna. Ma mi inorgoglisce pensare anche solo per un istante che due persone, sedotte magari da uno scorcio sulle antiche rovine, da un’antica leggenda affrescata all’interno di una
domus, oppure dall’immaginare i colori del foro, che insomma tutto ciò abbia portato a scoperchiare il vaso della loro immaginazione e indurli a unirsi in musica. Alle volte bisogna essere al momento giusto, con la persona giusta, nel posto giusto.
Per fortuna nostra, e loro, e accaduto proprio così. Fa pensare a cosa sia possibile fare in questo posto.
Fondare il futuro, portare un’innovazione, nel loro caso vista attraverso suoni analogici e digitali, colori e icone metalliche.
Una “capata” direbbero i miei conterranei, allegoria di un’intuizione talmente d’impatto e infine bella da stordire e lasciare confusi.
Come la musica dei Daft Punk.
di Andrea Farina
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