E’ una di quelle notti in cui ogni cosa fa rumore. I telegiornali di tutto il paese domani racconteranno di una Napoli devastata dal vento: alberi abbattuti, strade isolate, pali della luce spezzati a metà.
Lui si gira nel sonno – dorme ma allo stesso tempo non riesce a prendere sonno – e pensa al rumore. Ma soprattutto pensa alle cose che fanno rumore. Il vaso lasciato sul davanzale del bagno – ricordo del viaggio che avevano fatto insieme ad Amsterdam – che, cadendo sul pavimento, si è infranto in mille pezzi ed ha fatto rumore. Pure le piastrelle, lesionandosi, hanno fatto rumore. E poi c’è il ramo di quell’albero di noci – che da tempo avrebbero voluto e dovuto potare – che batte sul muro del garage e fa rumore. Il cane accucciolato nel letto, sotto a quel piumone sdrucito che da tempo avrebbero voluto e dovuto rammendare, russa e fa rumore. Lui continua a rigirarsi nel sonno e nei sogni e pensa al rumore.
Al rumore che c’è e a quello che c’è stato.
Il rumore del letto che batteva sulla parete della camera da letto nelle notti in cui si dedicavano all’amore intenso, bagnato e sporco. Il rumore dei suoi sospiri, di quando lei urlava ma mordeva il cuscino per timidezza. Il rumore del piacere e dei corpi che facevano attrito. Il rumore delle tazze di prima mattina, quando si è troppo poco svegli per essere coordinati. Il rumore della doccia, dei cassetti chiusi con troppa leggerezza, delle canzoni di Edith Piaf quel febbraio che andarono insieme a Parigi. Il rumore, assai poco piacevole, di quella volta che lui aveva deciso di voler imparare a suonare la chitarra e le urla, anche meno piacevoli, di lei che gli chiedeva di smettere perchè il talento musicale proprio non gli apparteneva. Il rumore, fioco e spaventato, di quella volta in cui lei gli disse che forse aspettava un bambino. Ed il rumore, che lui avrebbe adorato sentire, di un bambino che piange alle quattro del mattino perché ha fame. Ma era una falso allarme, quella gravidanza era solo un falso allarme. Ed intanto lui continua a rigirarsi nel sonno. Flussi di coscienza, i suoi. Pensa al rumore della sua paura quando a scuola il professore di francese stava per interrogare. Perchè si, la paura fa rumore. Ed ha esattamente il suono di un respiro affannato che si divincola tra l’incertezza e la certezza di precipitare.
“Vado via, non ti amo più, amo un altro”. Il rumore assordante delle parole, quel pomeriggio di ottobre in cui le foglie non cadevano ma tante lacrime caddero. Strano, lui continua a rigirarsi nel sonno ma non ricorda se il suo pianto quella volta fece rumore. Forse si, forse no. Il dubbio, quello sì che fa rumore. Si insinua come il ronzio di una zanzara nelle notti d’estate, si frappone tra te e il benessere, tra te e la tranquillità del per sempre. Il rumore della porta che si chiude, della cerniera della valigia – che da tempo avrebbero voluto e dovuto sostituire – che si rompe e si decide che quella valigia non avrà più nuove mete da abbellire. Il rumore della bruttezza di quel momento, di quando lei è andata via e di quando lui, in un attimo di coraggio e paura, le ha detto “vattene via, questa casa non è più la tua casa”. Il rumore del notaio che, con la sua firma, sancisce che nulla è più da condividere: le bollette del gas e della luce a carico di lui, che continua a rigirarsi nel sonno, e l’argenteria a lei, che chissà in quale letto sta dormendo in questa notte di vento e rumore.
Domani tutto sarà finito. Domani i telegiornali parleranno di una Napoli devastata dal vento. Domani forse nessuno parlerà di lui e della sua ennesima notte insonne passata, questa notte, a pensare al rumore. Al rumore che fa rumore e al rumore che fa silenzio. Un silenzio assordante, insopportabile, che rende ciechi e sordi: il rumore del silenzio dell’assenza di lei.
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