Non sono mai riuscito a decifrare bene le persone tipo me, di quelli che vanno al mare e appena assaporano l’aria pulita si accendono una sigaretta.
Sono gli stessi che quando si innamorano sentono questa spasmodica necessità, spesso inconsapevole, di soffrire.
La riflessione riguarda ogni cosa, naturalmente, i rapporti – il lavoro – i nostri interessi.
È che vogliamo un po’ tutto: la complessa bellezza delle onde, ma anche l’appagamento irrisorio e incontrollabile della nicotina. Siamo esseri umani, e completare tutte le esigenze che avvertiamo is the new sopravvivenza (Darwin ci prenderebbe a calci).
Viviamo questo imperativo come una lotta, la sfida di non perdere degli spazi che crediamo ci vengano tolti quando non soddisfiamo questa o quella necessità.
Quindi dobbiamo avere tutte le cose, a prescindere dal fatto che potremmo aver bisogno di una sola o di molte meno. Ignorando che le cose non sono tutte uguali, ancor meno il modo di ognuno di noi di recepirle: alcune ti danno tanto – altre poco e niente.
Penseresti che basta sapere cosa vuoi per risolvere il problema, ed è verissimo, ma non è così semplice.
Siamo un po’ maledetti, questo porco mondo ci rende insicuri da morire, crediamo di valere approssimativamente zero e di riflesso applichiamo questa convinzione a tutto quello che ci circonda. Pensiamo automaticamente di aver bisogno di un po’ di tutto, perché un po’ di tante cose piccole messe assieme può fare un intero. L’intero che è il nostro obiettivo esistenziale finale.
E questo discorso naturalmente vale tanto per le cose di cui abbiamo bisogno, tanto quanto per le cose che diamo.
Una delle défaillance più clamorose delle nostre generazioni è stata quella di convincersi che era meglio farsi piacere un po’ da tutti, anziché tanto dai pochi giusti, perciò nessuno sa più di niente.
Per questo siamo insoddisfatti, alla ricerca sempre continua di altro, è il malinteso di base di come riempire l’intero che ci toglie il respiro.
Siamo così abbagliati dall’inconsistenza che diamo per assodata di noi stessi, da volerla zittire rivendicando e soddisfacendo certe necessità immediate, piccole, senza domandarci se sono una bollicina d’aria nell’oceano, o una bombola intera d’ossigeno. Senza domandarci se questi istinti ci appartengono davvero e se completino degli spazi… degli spazi che se sapessi cosa vuoi, probabilmente lasceresti incolti a prescindere, perché capiresti che non ti interessano.
Il punto è che la sopravvivenza è proprio questo.
È cercare di prendere aria appena la senti mancare.
Il nodo di base da sciogliere è se vuoi sopravvivere o realizzare qualcosa che esiste realmente.
Se vuoi naufragare da una particella d’aria all’altra, o capire che puoi emergere e avere insieme l’acqua sotto di te e il sole in faccia.
Perché hai capito che puoi nuotare e spostarti come vuoi, e che non sei inadatto e condannato a restare sommerso. Hai capito quello che vuoi e questo ti permette di decidere dove andare consapevolmente, non di dipendere dalle bolle d’aria che ti capitano a tiro.
Alla fine di tutto, quando la sera torno a casa, io voglio il mare e a nient’altro.
E nessuna sigaretta completerà quel vuoto.
Quindi credo che dovrei riconoscerlo, e smettere di fumare.
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