C’è il suono di una chitarra che farà eco per sempre in quella grande piazza un po’ trascurata.
Si sentirà chiara e cristallina una voce originale, tra vicoli e vicoletti in tufo, in certi locali sottoterra, tra le lacrime commosse di chi si sente parte unica di un solo cuore, di un unico sogno fatto di buio e luce, di cattiveria e bontà, di menzogna e verità.
Solo chi ci nasce può capirne il contrasto, solo chi ci vive può imparare ad amarlo, e solo chi ce l’ha nel sangue sa come cantarne: lui Napoli sapeva cantarla, raccontarla e dipingerla.
Pino raccontava i sentimenti, li cuciva tutti insieme su uno spartito fatto apposta per la sua chitarra e per la sua voce, toccava il cuore di tutti, entrava dentro e ci restava: il suo modo di parlare d’amore, attraverso i toni mistici del dialetto napoletano, faceva ancorare le parole al cuore, all’anima e alla testa di chi lo ascoltava.
Un anno fa la grande piazza di Napoli ospitò l’ultimo omaggio a l’ultima icona di Napoli. Ogni cuore partenopeo era in lutto, orgoglioso e fiero di essere compatriota di chi ha portato il nome di Napoli in alto, di chi ha coniugato l’internazionalità del blues all’intimità del dialetto napoletano. I mille colori di Pino Daniele sono le mille persone che gli hanno detto addio con i piedi ben piantati su quella che lui chiamava “terra mia”: l’addio del popolo fatto a modo suo, rivolto al cielo e allo spazio, correndo sulle sue stesse note, prendendo la forma della sua canzone più famosa.
Napoli non è solo la voce dei bambini: è la voce di tutti, del suo popolo, dei suoi lazzari felici, della sua terra, della sua anima.
Un flashmob che ha fatto il giro d’Italia, un invito che si è diffuso tra tutti i suoi seguaci: quella sera di un anno fa, col cuore in mano e la sua canzone sulle labbra, i figli della sua generazione, i vecchi e nuovi seguaci, i curiosi, gli orgogliosi e i fieri, i fanatici e gli storici, a Piazza Del Plebiscito.
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