Religione e calcio: opposti nei loro concetti, accomunati da una medesima fede.
Quella fede smodata ed illogica, che nei suoi risultati più drammatici sfocia in un pericoloso fanatismo.
Ed è proprio concettualmente che si fatica a trovare le ragioni di questa comunanza, dal momento in cui l’una, la religione, dovrebbe in modo mistico legare l’uomo a tutto ciò che egli ritiene sacro o divino, mentre l’altro, il calcio, non è che uno sport, una manifestazione ludica e che non ha di certo i significati escatologici di un credo.
Eppure i parallelismi tra queste due manifestazioni umane di diversa consistenza esistono e sorprendono nella loro specularità. Non sono poche le persone che oggi parlano del calcio come di una ‘religione laica’, e non son pochi coloro che osservano credenti delle diverse religioni esistenti come supporter di squadre di calcio, coi loro riti e la loro violenza, nemici e gemellati. globalizzazione sembra essere il filo conduttore di tutto e in assenza di un nazionalismo collaudato, anch’esso assennato e folle del secolo scorso, il calcio è forse oggi lo strumento di maggiore aggregazione sociale. Accomunati da una bandiera, da un idolo, gli ultras si immergono in una sorta di stato di trance e insieme inneggiano, inveiscono, cantano a squarciagola, abbandono le proprie famiglie per seguire la squadra del cuore.
A proposito di quest’ultima frase, NBDV riporta un coro tanto caro agli ultras del Napoli, che ci dirà qualcosa in più della mentalità che sottostà a tante dinamiche:
“Abbandono lavoro e famiglia,
la ragazza mi lascia perché:
in Italia, in Europa e nel mondo,
non c’è stadio che non veda me”
“Il movimento ultras è un movimento che risale agli anni ’60 e non è altro che una aggregazione di giovani che hanno bisogno di trovare uno sfogo per una passione che comunque è mossa dal calcio, e dietro questa passione per il calcio si manifestano l’amicizia, la passione, la voglia di stare insieme, di far casino anche, quello bello, divertente, andare in giro per l’Italia e portare striscioni, bandiere; lavorare durante la settimana per il match della domenica. Comunque l’ultras a differenza del tifoso non è quello che simpatizza o tifa e basta la domenica, ma è una struttura settimanale; perché io, ma come tanti altri in Italia, abbiamo creato in curva, oltre che uno stile di vita, un modo anche di pensare e anche delle amicizie profonde, dei legami forti che trovi solo in questi frangenti (…)”
Il fenomeno desta curiosità ma, purtroppo, anche tanta preoccupazione: nel calcio si assiste ormai sistematicamente ad episodi di insulsa e immotivata violenza, che hanno allontanato i bambini e le famiglie dagli stadi; gruppi organizzati che mettono sotto scacco società di calcio con le loro intimidazioni e richieste; e in queste domeniche di ordinaria follia non si ha mai la percezione del limite, di dove finisce il comprensibile e di dove inizia l’incomprensibile. A tal proposito, la storia è piena zeppa di guerre in nome di religioni: le guerre sante, le crociate, di kamikaze pronti a farsi esplodere in qualsiasi momento per il loro Dio, proprio come un ultras per la propria squadra.
Il fenomeno esiste, ma la domanda bisogna porsela: a cosa porterà tutto questo?
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