I napoletani cavano l’arte dal sole.
Non la si insegue, non la si cerca, né si scova: è un dettaglio che splende all’improvviso, fuoriesce da un’ombra banale, tra le pieghe del sole.
L’arte esplode sotto la guardia del Vesuvio, che cela il suo magma furente sotto silenziosi manti verdeggianti e profumati di ginestra. Come le curve del verde Vesuvio, così la musa si traveste di tutte le forme napoletane, si colora dell’unico dio nel quale si riconosce il popolo ribelle di Napoli: il sole.
“Nella bocca del Vulcano” nasce l’arte di Partenope, i suoi colori, i suoi suoni e le sue espressioni.
Dai tempi in cui l’arte si tramandava parola per parola e viaggiava insicura ma veloce sulle bocche dei cantanti, tra i sussurri dei bambini nascosti nell’ombra, tra i versi di chi inventava poemi di eroi e sirene cantanti, la terra campana e il suo centro vitale respira e palpita d’arte viva, che sa di fuoco, di aria, di terra e di acqua. Napoli mesce i suoi elementi in un miscuglio apparentemente fuori tempo, caotici e disordinati: ma l’occhio attento dell’artista sa bene che è nel puro caos che nascono le stelle. Dal chiasso che popola le strade nascono melodie e suoni nuovi; dal frastuono di colori diversi, opposti e contrastanti, si formano nuove combinazioni; da strade nascoste e buie risuona forte l’eco di teatri antichi e voci importanti, di personaggi come Totò che dal basso si innalzarono forte, al di sopra della città per diventare il suo simbolo, il suo onore.
Da Partenope, la sirena che venne a morire sulle coste di Napoli, Ulisse, Enea e i popoli antichi ammantati di magia e mito, a Leopardi, i cui ultimi versi furono dedicati ai fiori del vulcano dormiente, a Cervantes, Montesquieu, Kraus, che dall’Europa udirono il richiamo del mare e del sole: è l’unica città al mondo ad avere molteplici volti e identità, nella cui storia sono scritti i passi di popoli diversi e lontani.
E’ la città da cui si fugge, e alla quale, tuttavia, si ritorna sempre.
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