E’ notizia di qualche mese fa la scelta della multinazionale americana Apple di approdare a Napoli per fondare un centro di studi e formazione. In molti all’inizio hanno pensato alla possibile creazione di nuovi posti di lavoro, ma sono stati subito smentiti dai chiarimenti giunti ben presto dall’azienda di Cupertino.

Quello che nascerà a Napoli sarà un vero e proprio centro di sviluppo che offrirà una formazione annuale specializzata a 600 giovani italiani e stranieri che, al termine dei 12 mesi di tirocinio, diventeranno esperti di iOS, il sistema operativo Apple, e delle app che tutti i giorni milioni di utenti in tutto il mondo utilizzano. Si tratterà quindi di un punto di partenza importante per tutti quelli che vi parteciperanno, poiché come è stato detto, «Formare un programmatore in Apple è come addestrare un meccanico in Ferrari. Difficilmente resterà disoccupato».

La notizia ha però ben presto diviso la città: c’è chi gioisce per l’iniziativa e vi scorge l’ennesima dimostrazione della rinascita partenopea, e chi invece vede in essa un ulteriore tentativo di sfruttare l’operosità e la bravura delle nostre giovani menti senza creare alcun nuovo posto di lavoro.

Abbiamo deciso di parlarne con Antonio Menna, scrittore napoletano che già nel 2013, nel suo libro “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” aveva descritto le avventure di due ragazzi partenopei che, proprio come Steve Jobs e il suo collega Steve Wozniak, tentano di lanciare sul mercato un nuovo prodotto tecnologico, trovando però numerosi ostacoli sul proprio percorso.

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La copertina del libro di Antonio Menna.

  • Antonio, innanzitutto ti ringraziamo per la disponibilità e la gentilezza con cui hai accettato questa intervista. “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” usciva nel 2013, dopo tre anni la Apple apre a Napoli una scuola di alta formazione, sembra quasi che Tim Cook, CEO dell’azienda americana, abbia letto il tuo libro: che ne pensi di questa notizia? Pensi possa essere una svolta positiva per i giovani della città?

Mi piacerebbe dire di sì, che hanno letto il libro. Ma mi sembra improbabile. Trovo la notizia molto importante per la città. Credo che sia positivo non solo che Apple arrivi ma anche per quello che dice di voler venire a fare. Mi sembra importante che non venga a creare produzione e posti di lavoro operaio ma venga, invece, a impiantare un cervello operativo, una fabbrica di conoscenza e di saperi. In questo senso, che si rivolga ai giovanissimi è uno straordinario investimento sul futuro di Napoli.

  • Il motto di Steve Jobs è sempre stato “Stay foolish, Stay hungry”: credi davvero che qui a Napoli, più che altrove, ci siano persone affamate e folli?

Sicuramente Napoli è un luogo di grandi bisogni. Il lavoro, ma soprattutto l’impossibilità per i giovani di farsi vedere, di farsi riconoscere, di trovare una comunità che si coalizzi intorno ad un talento e lo aiuti ad esprimersi determina una grande tensione nelle persone e nella collettività. Non so se questa fame e questa follia riescano, però, a diventare – come sosteneva Jobs – motore di reazione, spinta verso l’azione. Mi sembra che chi resta sia abbastanza rassegnato e chi ha forza, scelga di andarsene.

  • Nel libro descrivi in modo ironico un sistema svilente, in cui chi cerca di emergere con le proprie forze deve fare i conti con le raccomandazioni, la corruzione e la camorra: quanto c’è di vero in quello che racconti? Funziona davvero così?

E’ una storia di fantasia ma con fatti tutti reali. Purtroppo un ragazzo che ha una idea e vuole fare una cosa in proprio, a Napoli (ma direi in Italia) può contare solo sul sostegno della propria famiglia, se ne ha una e se ne ha una con qualche possibilità economica. E’ la famiglia che lo fa studiare. E’ la famiglia che, eventualmente, gli dà il capitale per avviare un’attività. Nessun fattore sociale si coalizza col giovane di talento. Anzi. Il contesto sembra volergli fare solo sgambetti, fino a farlo stancare.

  • Alla fine del libro, che ovviamente non sveliamo, tu lanci un messaggio di speranza, dal momento che i due protagonisti pur dinanzi a tanti ostacoli non mollano mai, e nonostante le disavventure, riescono a rialzarsi e ricominciare a seguire i propri sogni: cosa puoi dire a tutti i ragazzi che cercano di realizzarsi in un contesto non proprio favorevole e soprattutto in un periodo di grave crisi economica?

Nel libro c’è un messaggio di speranza perché io credo che non tutto sia perduto. La mia speranza è il capitale umano. Le persone. Naturalmente non bastano. Servono fattori sociali: bisogna costruire una comunità sul merito e anche sulla facilitazione a chi vuole creare. Bisogna alleggerire il fisco, la burocrazia, studiare meccanismi di credito a chi non ha altre garanzie che la sua idea, incentivare il capitale d’avventura, e combattere seriamente i fattori di sottosviluppo come corruzione e camorra. Senza questa azione di sistema, chi ha talento e voglia di fare o si scoccia o se ne va. Ai giovani io consiglio di provare ma, se la città non li riconosce, di andarsene. Non è giusto sprecare la propria vita e il proprio talento appresso a chi proclama il sostegno ma non lo esercita.

  • A Napoli si parla molto di “riscetamento culturale”, espressione utilizzata per definire la diffusione di una maggiore coscienza della nostra cultura, della nostra storia e delle nostre potenzialità: sei d’accordo? Negli ultimi anni noti un cambiamento nei cittadini e nel loro rapporto con la città?

No, non noto alcun cambiamento. E’ cresciuta la permalosità. Nessuno può parlare dei problemi di Napoli. Sembra che chi lo fa, insulti la città. In realtà per superare i problemi non c’è altro modo che la denuncia e l’impegno. Non vedo nessuna delle due cose. Vedo molta mistificazione, molta vanità sulla bellezza, ma vedo i problemi di sempre addirittura aggravarsi. Penso che il cambiamento sia ancora tutto da costruire.

A questo punto non ci resta che aspettare l’inizio del progetto, che a quanto pare dovrebbe partire subito dopo l’estate, o al massimo entro fine anno, per poter fare un primo bilancio e appurare quali benefici e vantaggi abbia, la scelta di Apple, portato alla città e ai suoi abitanti, sperando che l’iniziativa si riveli un motivo in più per i giovani di trovare un futuro qui e non abbandonare la nostra città.

Quel che è certo è che la Campania ben presto potrà continuare a fregiarsi del titolo di “regina delle mele” non solo per la pregiata varietà di mela che qui si produce, la melannurca, ma anche per essere la sede del primo centro di formazione d’Europa della mela statunitense, la Apple.