Succede tutte le volte che sono qui. Ho la testa bassa e gli occhi socchiusi. Come un bambino che gioca ad avere entrambi i piedi all’interno della stessa mattonella, provo a occupare meno spazio possibile e a fondermi con l’ambiente circostante. Il respiro è regolare e il cuore leggero. Le mie pupille dilatate iniziano un processo di intensa costrizione. Le luci della piazza mi pervadono e il buio che poco prima ho creato non può opporre alcuna resistenza. Come sempre il mio sguardo cade sull’obelisco dell’Immacolata. Vorrei fossi qui con me per mostrarti le due facce della statua. Prendere la tua mano e portarti nei due precisi punti in cui la Madonna appare in quanto tale e tutto a un tratto diventa la Morte con tanto di falce e cappuccio.
Vorrei portarti davanti la Chiesa del Gesù Nuovo. Vorrei mi domandassi del perché di quelle incisioni sulle pietre che compongono la facciata. Ti risponderei che sono girate tante leggende, alcune estremamente fantasiose, di riti esoterici e note componenti una misteriosa melodia; ma in realtà non sono altro che le “firme” di coloro che avevano partecipato alla costruzione del bugnato e che in questo modo, avrebbero avuto la certezza di essere pagati per la quantità del lavoro svolto. Ti parlerei di Palazzo Pignatelli. Ti direi che lì ha abitato un certo Degas, mica poco insomma. Camminerei verso il Monastero di Santa Chiara portandoti sotto la tettoia dinanzi l’ingresso. Alzeremmo entrambi il capo verso l’alto per capire del perché di questa strana forma. Ti risponderei che quella è l’unghia di Santa Chiara. È il suo dito indice che punta verso il mare scatenando una tempesta che costringe i nemici di Neapolis alla ritirata. Alzando il mio, indicherei una piccola taverna dicendoti che proprio lì si rifugiò Caravaggio prima di essere pugnalato. A quel punto spererei mi domandassi perché l’obelisco non è esattamente al centro della piazza. Guardandoti negli occhi e sorridendo dolcemente esordirei dicendo che Piazza del Gesù è l’unica piazza rettangolare di Napoli e che divisa tramite una diagonale in due triangoli venne alla luce, per quell’epoca, un problema da non sottovalutare. Il primo dei due, contenendo ben due edifici ecclesiastici quali il Monastero di Santa Chiara e la Chiesa del Gesù Nuovo, era più che protetto da qualunque forza satanica. Il secondo tutt’altro. Indi per cui fu deciso di costruire l’obelisco all’interno del secondo triangolo per garantire una sorta di protezione anche alla parte restante della piazza. Naturalmente leggende anche queste. Non avendo più niente da dire, guarderei i tuoi occhi rapiti e penserei a quanto il merito sia mio e quanto di questa città meravigliosa. Portandoti a me sentirei il tuo ventre pulsare come quello del centro storico che oramai c’ha inglobati. I miei piedi ritoccano terra e sono di nuovo solo sotto le luci. Accendo una sigaretta e giro su me stesso dando una rapida occhiata a tutto ciò che mi circonda. Sei sempre lontana ma non posso fare a meno di sorridere senza motivo. È che stai perdendo qualcosa di veramente importante, solo che ancora non lo sai. Cammino e penso a tutto quello che mi lascio alle spalle. Penso agli antichi silenzi e alla perenne sensazione di riconoscere qualcosa solo quando meno te l’aspetti. Penso a un gioco di contrasti; all’inevitabile solitudine che illumina ogni cosa e senza la quale non sarei mai riuscito a circuire quest’incantato e indecifrabile mondo.
Così cresce l’innato desiderio di scoperta, l’irrefrenabile istinto che, ogni notte, scopre i delicati veli che ricoprono queste ormai imperforabili e immobili mura. In maniera ahimè spietata, la fonte che ogni giorno spero di trovare resta solo un grande sogno ancora mai infranto. Come la donna dei sogni, resti illibata a ogni mio tocco e al solo pensiero che possa sfiorarti perdo calore e certezza, fiato e grandezza. A ogni mio passo cominci a tremare e non posso fare a meno di sentire ogni tuo battito dentro il mio cuore. E se sia questo il mio destino, ora proprio non m’importa. Che sia una lunga attesa, solo un grande sogno, non ha quasi più importanza. A ogni Luna nascere o morire, a ogni luce di lampione alzarsi sulle punte e poi volare. Cosa conta tutto il resto? È che un traguardo proprio non esiste, non è nessuna corsa, nessuna lotta contro il tempo. Conta solo ora e qui, ogni volta che sono qui, tutto ciò che non ha peso vola via e resta solo un po’ di tenerezza. Un ragazzo e una ragazza si stringono in un lungo abbraccio. Lui ha i capelli neri e folti, lei maniche lunghissime che trattiene tra polsi e dita. Resto immobile a guardarli ma la vista d’improvviso mi si annebbia costringendomi a cambiare direzione. Con il capo rivolto verso l’alto, prendo subito coscienza di una Luna posizionata esattamente sopra la mia testa. Enorme e lucente, lascia intorno la sua sagoma un alone di chiarore e di bagliore che, in maniera perfetta, la separa dal cielo oscuro della notte. Una linea ideale e immaginaria la collega alle piccole luci che descrivono la corona della Vergine Maria. Restano entrambe lì, quasi a parlarsi e a contemplarsi, confondendosi l’una nell’altra sopra tutti noi, sopra ogni singola e minuscola entità che mai potrà arrivarci. Camminando senza meta, un gruppo di ragazzi balla senza sosta su una musica dolce e melodiosa. Delicati e appassionati, sembrano planare sopra l’asfalto dissestato. Come aquile al decollo preparano il distacco e la partenza. Una delle anime innalzate, con estrema delicatezza, chiede se ho voglia di ballare. Rispondo che ne sarei ben lieto ma che ci sono tre problemi. Quando sorridendomi chiede quali mai possano essere, non posso fare a meno di ammettere di non conoscere i passi, di non sapere con chi poterlo fare e soprattutto di non avere un buon odore. “Non so se conosci la cucina greca”. Scoppiamo entrambi in una sonora risata. Risponde che per i primi due motivi non v’è nessun problema e che per il terzo, beh, troveremo una soluzione. Stringendomi forte a lei, iniziamo a descrivere i primi passi. Confessandomi di non avere poi questo cattivo odore sorridiamo di nuovo e tutto diventa più leggero.
Quando la musica finisce, i nostri corpi lentamente s’allontanano; quasi per paura di sentire nuovamente l’aria fredda sulla nostra disabituata e fredda pelle. Come poli opposti, iniziamo a distaccarci e chinando il capo lentamente la ringrazio per il bellissimo momento. Dandole le spalle continuo il mio cammino e non posso non pensare a quanto appena sia accaduto. Un piccolo e improvviso brivido nasce nel momento in cui chiudo gli occhi e l’immagino ancora lì, come nulla fosse mai successo, a danzare senza peso sotto migliaia e migliaia di luminosissime stelle. Incurante d’ogni scintilla che tutto muove e accende, inesorabile scorre la notte e il suo incedere impietoso non fa altro che ricordarmi quanto tutto inevitabilmente giunga presto o tardi a conclusione. La città è ormai fantasma e il buio ancora domina le strade lunghe e strette di questo solenne e incantato labirinto. Con l’alba ancor lontana, ho tutto il silenzio e la bellezza che mai nient’altro potrebbe regalarmi. Continuano i miei solenni passi e continua la mia sbadata ricerca. L’illusione che con niente intorno, tutto ritorni a portata di mano. È che in vero, queste sono solo scuse. È che in vero, mi basta solo questo. Essere qui, sdraiato sulle sue vene, lasciandomi trascinare dal suo flusso lungo l’intero organismo che, da abile contenitore, circonda la sua impareggiabile, dannata e insormontabile anima. Perché questa è la città dei sogni, delle grandi contraddizioni che ancora tutto fanno pulsare. E chissà se magari questo non possa darmi pace, seppur labile e temporanea. Chissà se ogni cosa non possa sparire anche solo per un attimo tra queste pietre, tra queste luci, tra questi infinitesimi spazi che, con il loro inconfondibile passato, forse possono comprendere il mio e sottrarre le mie paure con le loro antiche, robuste e profonde radici.
La piazza è ormai alle spalle e in forma volatile tra lo spazio virtuale che separa cuore e polmoni. Resta tutto. Finché c’è qualcosa da raccontare e chissà, forse anche qualcuno ad ascoltare.
Quasi niente finisce per sempre. In questa città soprattutto.
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