Deve aver capito di star per morire, Fortuna.
Deve averlo capito già prima che le mani dell’orco la lasciassero andare e che lei iniziasse a cadere, piano dopo piano, verso l’asfalto.
Una bambina di sette anni sa cosa è la morte, forse più degli adulti. Certamente più degli adulti di cui Fortuna era circondata, nel Parco Verde di Caivano, dove la parola morte ha la morbida custodia della quotidianità.
Ma non è solo la parola morte che, in quel luogo, ha fagocitato la sua stessa portata, anche altre parole hanno perso il loro tenore, pur mantenendo il loro significato. Una è la parola pedofilia che, tra quei palazzi dall’aria triste, un po’ sovietici vecchio stampo, ha girato di bocca in bocca.
Lì dove, di bocca in bocca, avrebbero dovuto girare solo le preghiere.
La pedofilia, invece, era la bestia nel cuore (per citare la Comencini) di un numero ancora imprecisato di abitanti del Parco Verde che non hanno smesso di interrogarsi, di confrontarsi, di parlare, di indagare. Ma manca l’ultimo passaggio di questa catena di azioni non certo vietate: il passaggio che avrebbe dovuto far emergere il tutto, attraverso la collaborazione con le forze dell’ordine, con gli operatori sociali o, almeno, con le personalità ecclesiastiche.
Invece no.
L’omertà ha trattenuto ogni cosa, anche l’umanità, finché Fortuna è rimasta solo un sacrificio umano, un sacrificio triste ma, per alcuni, anche un po’ necessario perché la normalità del mondo non si abbattesse su quel luogo come un giudizio divino, perché tutto restasse così come è. Una stasi fuori dalla civiltà, fuori dal tempo, dove anche “le leggi non scritte”, quelle dell’interiorità, quelle dell’anima, sembrano piegate a un microcosmo di rassegnazione.
A scegliere il silenzio, pur sapendo, non è stata solo una persona.
Ad assecondare il silenzio ne sarebbero state un bel po’.
E se scegliere ed assecondare sono due azioni ben diverse, resta il fatto che questo assenso è un assenso al cadavere di una bambina, una bambina violentata e poi gettata giù da un palazzo.
Ossa frantumate e sangue innocente sparso sull’asfalto.
C’è molta indignazione nell’aria.
C’è molta rabbia di chi non vuol che si faccia di tutta l’erba un fascio.
Qualcuno su Facebook scrive “si abbassino i riflettori sul Parco Verde”.
Ma sarebbe devastante, per noi e per loro, togliere quella poca luce che è riuscita a entrare lì dove di luce, in effetti, ne è entrata sempre poca: un bagliore che è riuscito a posarsi sulle cose solo grazie ai bambini.
Perché sono i bambini che hanno parlato e detto la verità, cercando di sottrarre, per una volta, le parole a quell’alone di voci basse, di “shhh” fatto con un indice sollevato sulle labbra, di paure.
Sono i bambini gli unici che hanno sentito quella legge naturale, quell’umanità meravigliosa fatta di compassione, amore e verità.
Sono i bambini l’unica Antigone di questa storia.
Anche Fortuna lo sarebbe stata.
O forse sarebbe stata una Giovanna D’Arco, una Rita Levi Montalcini o anche una meravigliosa donna comune, che si sarebbe salvata sfuggendo al degrado, studiando, dimenticando l’infanzia fatta di abusi da parte dell’orco. Si sarebbe salvata, tenendo a mente che “omicidio” significa “omicidio”, “pedofilia” significa “pedofilia” e che gli umani non sono umani se fanno dell’omertà una tutela e dell’umanità una minaccia.
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