Tredici novembre 2015. All’indomani degli attentati di Parigi il mondo si sveglia in un cordoglio web senza precedenti: #PorteOuverte ( #PorteAperte) è il primo hashtag di questa storia, ed è l’hashtagh con cui i parigini tentano di soccorrere le persone ancora coinvolte nelle sparatorie verificatesi nel I, X e XI arrondissement di Parigi, a Saint-Denis, allo Stade de France e nella regione dell‘Île-de-France; ed è soltanto l’inizio di una circolazione di informazioni, messaggi di vicinanza al popolo francese e di condanna agli artefici degli attentati che il mondo intero non aveva mai sperimentato su così larga scala per tramite dei social network.

Su Facebook milioni di utenti, in tutto il mondo, sovrapponevano alle loro immagini di profilo la bandiera francese; altre foto della Tour Eiffel a mezz’asta, oppure anch’essa caratterizzata dal rosso-bianco-blu. Come per il sisma che in Aprile aveva colpito il Napal, anche in questa occasione Facebook attivava il Safety Check, il servizio con cui si poteva comunicare agli amici che si stava in salvo: a chiunque in quei giorni si trovava a Parigi, il social notificava la funzione ‘trova velocemente gli amici che sono nell’area Pray_For_Paris_NBDVcoinvolta e collegati con loro. Conferma che stanno bene se ne sei a conoscenza’. Su Twitter la parola passa a personaggi pubblici di spessore mondiale e i messaggi di solidarietà viaggiano ad una velocità iperbolica sotto l’hashtag #PrayforFrance, utilizzato soprattutto dalla polizia francese per diffondere raccomandazioni, recapiti di ambasciate straniere, ed aggiornamenti live di tutte le evoluzioni della vicenda, ma divenuto ben presto la chiave per comunicare vicinanza al popolo francese, mentre l’altro hashtag #JeSuisParis, ricalcava la nota vicenda di Charlie Hebdo e riproponeva un lutto comunque ancora vivo nelle menti di tutti. Ognuno esprime il proprio sdegno, disappunto e la paura viaggia senza sosta sui social, contribuendo ad instaurare un clima di terrore mondiale.

Ma tutta la solidarietà postata, ri-postata, condivisa, è una solidarietà reale o di facciata? Una moda o un’esigenza quasi di comunicare depressioni, esaltazioni, stati d’animo? Beh, il quesito è quantomai attuale e soprattutto non può prescindere da un’altra domanda: quanto i social rispecchiano della vita reale? Di fronte ad eventi di portata planetaria tutti, nessuno escluso, si sentono non in diritto ma addirittura in dovere di dire la loro; ma a che pro? Facebook, Twitter, oggi rappresentano uno scrigno di pareri e di condivisione d’ogni cosa. Ma il pubblico di questi messaggi chi è? I Followers? La materia si presta certamente a defezioni di natura sociologica ancora oggetto di studio.

Quel che certo è che all’indomani degli attentati di Parigi la paura correva sui social a velocità progressive; tutto questo ha contribuito a fare del nemico un nemico universale, condito di mille particolari. Eppure col passare dei giorni il fenomeno perdeva di intensità, quasi come se il lutto, elaborato e investito dal parere di tutti, perdesse di consistenza come una moda, che una volta calcata e ricalcata, svanisce. Ma la verità, come in ogni cosa, sta sempre nel mezzo: e non è malizia pensare che sicuramente qualcuno ha scritto e postato in quei giorni per non essere da meno di altri che invece hanno sentito la reale esigenza di esprimere il loro disappunto ed essere solidali con chi ha vissuto in prima persona quest’orrida vicenda.