Si sa, le streghe sono dalla notte dei tempi le eterne antagoniste dai tratti sgraziati, per loro niente scarpette di cristallo, colori pastello o chiome lunghe e dorate.
Durante il corso della storia se ne parlava poco, con discrezione e quando succedeva era per avvisarci che erano state messe al rogo. Erano insomma il “Tu-sai-chi” della Rowling versione rurale. Brutte, ma brutte, nefaste, pazze …in definitiva una vitaccia!
Da sempre, la nostra schiena di monti campani, è conosciuta in Italia come vecchio eremo delle donne dal cappello a punta. Poi però accadde, esattamente nel 1860, che una conca circondata da colline quale la città di Benevento seppe capovolgere il sistema, schierando un espediente pubblicitario geniale; il termine “strega” prima condanna divenne plauso della città. Giuseppe Alberti, commerciante di vini da taglio per il mercato francese, scelse di creare un liquore diverso dagli altri e di chiamare questa diversità “Liquore Strega”. Sfruttò la leggenda che aleggiava come un enorme e pesante coperta su quel luogo; bizzarre cerimonie religiose dei dominatori longobardi prevedevano sfrenate danze notturne di donne che si riunivano intorno ad un noce magico, situato vicino le sponde del fiume Sabato dove le “Circe” italiane riuscirono ad ideare una pozione magica che univa per sempre le coppie che la bevevano (un esempio di quest’antica credenza lo ritroviamo nello spezzone del film a “Kitty Foyle, ragazza innamorata” dove i protagonisti bevono il liquore Strega).Questa presunta stregoneria turbò le menti dei beneventani giù cristianizzati. San Barbato però riuscì a cristianizzare gli invasori venuti dal Nord e le streghe vennero processate. Si racconta che durante la loro sentenza intonavano brevi versi che tutt’oggi echeggiano vicino le sponde del fiume « Unguento unguento portami al noce di Benevento; sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo. »
Le streghe scomparvero, ma ciò che non scomparve fu il loro ricordo, tanto da tornare secoli dopo come etichetta su una bottiglia in vetro. Il liquore è ideato da Alberti come un digestivo da centellinare dopo i pasti. Un’atipica miscela di 70 erbe, dalla consistenza semi viscosa, un ventaglio di gusti pronunciati e complessi, con forti note di camomilla, noce moscata, cannella, lamenta e finocchio di un color zafferano con una gradazione alcolica del 40%, usato anche per insaporire i dolci. La ricetta resta ancora oggi segreta, un incantesimo da pochi conosciuto, un connubio tra novità e mistero.
Il vero incantesimo però è quello di essere riusciti a far volare questo biondo sciroppo dalle montagne campane dapprima per lo stivale, e poi nel mondo intero. Stregare di gusto è un compito arduo, ma Benevento ne vanta il primato. Basti pensare che in Italia si avvale di una rete vendita composta da circa 100 agenti di commercio distribuiti in ogni provincia del Paese e che nel mondo il suo marchio è sugli stand dei manifestazioni fieristiche internazionali più riconosciute come come Vinexpo e Fancy Food. La dinastia degli Alberti è un po’ la mamma italiana della produzione di bevande alcoliche. Ogni suo componente nel corso del secolo ha saputo sfruttare le tendenze di mercato, seducendo e soddisfacendo i consumatori più esigenti estendendo la sua gamma di prodotti; non solo il classico liquore dalle 70 nuance di sapore, ma anche grappe, sambuca, liquori alla liquirizia e limoncelli ed ancora torroncini, cioccolato e prodotti senza glutine, proprio per non dimenticare le esigenze di nessun acquirente.
Un’altra grande magia del sigillo Strega è stata quella di aver raccontato il gusto e l’umore letterario del nostro paese attraverso l’ambito Premio Strega. È universalmente riconosciuto dal 1947, grazie a Guido Alberti e all’amica scrittrice Maria Bellonci, come premio letterario più prestigioso in Italia che contribuì del primo dopoguerra alla rinascita culturale del Paese, oltre a godere di una concreta fama anche in Europa e nel mondo. Il Premio Strega ha raccontato su carta l’evoluzione della scrittura e delle tradizioni, migliorando il rapporto degli italiani con i libri, accompagnandoli con foglio bianco e inchiostro nero a leggere del mondo e a leggere se stessi, il loro passato e presente attraverso lo specchio della narrativa contemporanea.
Quel sorso zafferano ha stregato la letteratura quanto il cinema. La bottiglia in vetro è stata protagonista su carta e su di tante pellicole cinematografiche; “Il padrino”, Don Vito Corleone e i suoi pari bevono Strega, nel film con Totò “Il ratto delle Sabine” il capocomico della compagnia Tromboni (Totò) viene accolto, in casa del professor Molmenti (Campanini), dalla domestica che gli offre “Strega e biscottini” e, nel romanzo “Fiesta” di Ernest Hemingway, il protagonista Barnes paragona il sapore dell’Izarra, un liquore dei Paesi Baschi, a quello dello Strega. Appare poi ne “La Ciociara” (1960), in “Ieri, Oggi e Domani” (1963) entrambi di Vittorio De Sica. Persino la musica ha qualcosa da cantare su di lui; Franz Xaver Sussmeyer, allievo di Mozart compose “Il noce di Benevento”.
E’ la comunicazione il vero incantesimo del Liquore Strega che spegne quest’anno 155 candeline, con la consapevolezza di aver inciso in ogni campo d’azione la sua firma. Con una scopa o meno, gli Alberti sono volati in alto, con modernità, sfruttando e brillando in ogni vetrina permettesse loro di volare qualche metro più su, anche se la vera qualità la fa sempre il gusto culinario made in Italy, made in Sud. Perché come diceva uno spot televisivo nei primissimi caroselli degli anni ’60: “Il primo sorso affascina, il secondo Strega”.
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