Napoli 23 aprile. Finalmente si respirano gocce di primavera, il sole bagna i palazzi ma non tedia i suoi abitanti che freneticamente inondano i marciapiedi. Nbdv ha un appuntamento, all’altezza dei quattro palazzi, sul Corso Umberto I al lato destro un po’ più avanti ad un negozio di giocattoli; lì c’è un portone che quasi passa inosservato, nascosto timidamente tra gli esercizi che espongono quasi fino alla strada le merci. Ci affrettiamo ad entrare, non sappiamo bene perchè ma serpeggia dentro di noi una curiosità viscerale; alziamo lo sguardo e continuo a camminare, soffitti altissimi e scale di marmo ci sostengono e ci accompagnano fino al secondo piano del palazzo. Di fronte a noi una porta in legno, l’ingresso dell’Associazione Culturale Mario Casolaro. Riusciamo a dire qualcosa solo dopo due minuti di apnea, quello che si apre davanti a noi è uno scenario incredibile: un chiostro, più precisamente è il Chiostro di Sant’Agostino alla Zecca. Ad ospitarci e a guidarci al suo interno è il responsabile Massimiliano Rizzo. Un uomo, un ragazzo di ventinove anni appassionato della sua città, e che come egli stesso dirà quasi “inciampa” nel chiostro:
“Amando profondamente la storia di Napoli ,volevo in qualche misura fare qualcosa per i tanti monumenti abbandonati però io questo posto non lo conoscevo come la maggior parte delle persone. Una volta entrato qui ed era settembre del 2013 è cominciata la trattativa con la proprietà, poichè è proprietà privata, non è una struttura comunale, nè vagamente connessa al demanio; fosse stato per lo Stato l’avrebbero tritata quasi più di un secolo fa ,quindi è stato solo per l’intervento dei privati che la struttura è stata salvata.”
Il nome commerciale dell’associazione è Tick che ha un duplice significato: in parte è un acronimo che sta per “Transiti Interrotti di Cultura Contemporanea”; in parte, poi, è la traduzione inglese di zecca, pulce e non è difficile comprenderne il significato poiché è un posto che ti lega in qualche modo, che ti rapisce. Tra le colonne del chiostro, nelle venature dei marmi, e negli occhi delle statue, Massimiliano quasi si perde, e come un fiume in piena racconta le loro storie.“Gli scritti parlano di secolarizzazione degli spazi, perché questo era il chiostro di sant’Agostino alla zecca era il maggiore di due chiostri che esistevano, ma era un giardino un luogo di snodo per la vita monastica; la sala del capitolo era importantissima, il primo tribunale del popolo… ci hanno processato Masaniello. E se non abbiamo avuto l’inquisizione a Napoli è proprio perché da quella sala nel 1496 Ferrante I si è opposto all’Inquisizione spagnola. Il chiostro altro non era che il giardino di un monastero che venne rifondato per volontà di Carlo I d’Angiò, anzi da sua moglie. E qui c’era la collina e il mare non c’era niente altro, e c’erano delle mura greche diroccate e questo tempio di Giove ove c’era una piccola comunità di monache di Basilea. Poiché i D’Angiò erano vassalli del Papa e poiché quest’ultimo voleva scacciare l’influenza delle ortodosse, imposero che tornassero di nuovo gli ordini monastici, quelli degli agostiniani e le clarisse; quindi Santa Chiara e Sant’Agostino vennero richiamati per ristabilire l’ordine alla fede cristiana e crearono questo complesso enorme.
Nel 1624 il chiostro fu ricostituito dall’architetto Regio, la mano dell’artista si riconosce intorno alle statue ove ci sono dei decori che alla base, con un inganno ottico, delineano un mascherone demoniaco quasi alieno sotto i Santi a simboleggiare proprio il fatto che la santità sovrasta il demoniaco. Un’ anomalia la troviamo nelle pietre di volta che si chiamano farmacon che simboleggiavano la cura ad un’eventuale malattia ed è anomalo perché qui erano presenti solo laddove c’era la farmacia ma qui la farmacia non c’è mai stata. Altra anomalia che è anche l’unicità del chiostro sta nell‘alternanza dei materiali perché si alternano pietre tipicamente campane come il piperno e altre pietre come marmi toscani Carraresi e siccome noi non lavoravamo il marmo fino al 600, i maestri scalpellini toscani vennero ad insegnarci la lavorazione del marmo e come tributo fu scelto di alternare le pietre delle due regioni. Verso la fine dell’800 poi le monache vincenziane acquisteranno la struttura ma verranno poi liquidate con 200.000 lire dall’ente di risanamento napoletano che prevede la distruzione del monastero.
Benedetto Croce e altri intellettuali dell’epoca si opposero alla distruzione di queste strutture; pare proprio che si incatenarono al cantiere per evitarne la distruzione e riuscirono ad ottenerne il salvataggio con un’opera apocalittica di ingegneri e architetti: dovettero scavare sotto il giardino, svuotare la cisterna, creare un palazzo che comunque si allineasse con il corso, inglobare tutto al secondo piano, insomma non fu impresa semplice. Anzi quest’impresa fece molta notizia, arrivò a Roma dove una famiglia di imprenditori si appassionò al progetto; era la famiglia Ascarelli una famiglia ebraica che si innamorò letteralmente di Napoli.
Dobbiamo a loro sia lo stato di conservazione del chiostro sia le scelte ingegneristiche perché il lucernario fu fatto installare da loro per due motivi: sia perché erano mecenati, erano degli intellettuali amanti dell’arte e delle innovazioni, e quella era l’epoca dei grandi ponti in America, della torre Eiffel a Parigi…quindi decisero di investire su nuovi materiali quali la ghisa e il cristallo, ma anche perché erano ebrei e avendo il chiostro una pianta quadrata esattamente come le sinagoghe, installarono la soffitta a forma di piramide. Gli Ascarelli, poi, erano anche massoni e per far sì che fossero connessi tutti gli elementi investirono su un altro materiale, che all’epoca nel 1899 era sperimentale, il vetro cemento; per il pavimento e per i solai del secondo e del primo piano imposero la presenza di questo materiale affinché il sole arrivasse al pianterreno. Così l’edificio divenne il più grande ingrosso di lana e seta del centro-sud, esempio di imprenditoria illuminata. Con l’imposizione delle leggi razziali gli Ascarelli furono costretti a scappare come molti altri dai bombardamenti. L’edificio fu abbandonato e depredato dai napoletani, quello che rimase fu traslato a Caserta in un altro deposito ma poi fu depredato anche quello. Il sergente Cutler individuò il sito ed espropriò questa struttura agli Ascarelli, ne fece il quartier generale nazista. Successivamente fu ordinato lo sgombero di tutta la costa, quindi vennero gli americani e l’utilizzo più immediato che pensarono di fare dell’edificio fu quello di dormitorio. Le brande degli americani sono state smaltite nel ’79. E nel ’79 stesso fu acquistato il palazzo dalla famiglia che è attualmente proprietaria e la struttura venne utilizzata per scopi più disparati.Tutta la sua memoria storica andò persa. C’è stata la commissione tributaria, una scuola materna pare e poi la Partenope navale…qui facevano le discussioni di laurea; il chiostro venne tutto chiuso da vetrate ed era una aula magna, dopodiché poi andarono via perché non pagarono più l’affitto e furono cacciati.
Infine c’è stato l’ultimo affittuario, prima della chiusura di 15 anni, la World Wide School una scuola inglese che ha stuprato più di tutti la struttura perché in questa sala hanno trapanato migliaia di cavi telefonici, a terra c’erano le canaline perché di questa sala ne fu fatta un call center.”
Dopo 15 anni di totale abbandono della struttura, a Massimiliano viene dato il via per attuare il suo progetto che egli stesso descrive:“Mario Casolaro chi era,era un ragazzo, un ventenne, siccome la prima cosa che mi ispirò la struttura era quella di aprire uno spazio alla lettura per gli studenti, viste le facoltà così vicine però è una cosa che richiede molto molto tempo molta più energia di quanta non abbia già profuso, perchè la sala capitolare fino agli anni ’20-’30 aveva un soppalco quindi ho fatto richiesta alla sovraintendenza per poterlo realizzare di nuovo per ospitare lì una biblioteca inversa nella quale i ragazzi depositeranno delle start up, i brevetti, le loro idee per diventare un posto foriero per i giovani ecco uno spazio di incontro gratuito ovviamente in un momento diurno. Mio cugino è Mario Casolaro un ragazzo di 20 anni che è morto il 26 Dicembre 2012 di aneurisma, improvvisamente, in un momento in cui si sarebbe iscritto ad un nuovo corso universitario e quindi il tema dell’università con la sua giovane età, il fatto che non potesse più far nulla, non essendoci più mi ha spinto a dedicarla a lui. Ho chiesto l’autorizzazione ai genitori. Era un modo mio forse patetico per far sì che il nome fosse pronunciato al presente e non in funzione dei ricordi. Lo scopo dell’associazione è quello di partire da questo sito e poi arrivare in altri siti qui purtroppo o per fortuna ce ne sono tantissimi in abbandono; questa è la decima bellezza d’Italia mai aperta al pubblico, non lo dico io ma lo dicono gli esperti e fra un paio d’anni io conto di avviarla, di averla già avviata e lasciarla nelle mani dello staff. Il progetto dell’associazione è proprio quello di utilizzare e non cristallizzare gli spazi, di rendere vivo un luogo che per troppo tempo è stato abbandonato; e tutti gli eventi che ci saranno combinati all’amore per questo posto ne garantiranno la sopravvivenza. Lo spazio espositivo è assolutamente gratuito, già sono state realizzate alcune mostre dai ragazzi dell’Accademia per promuovere l’arte contro le lobby di chi invece espone in questi posti cristallizzati; c’è stata molta risposta , hanno venduto anche parecchi dei quadri esposti grazie alla visibilità ottenuta. Gli orari di visita ovviamente sono strettamente connessi agli eventi e anche tramite il sito internet si possono ricavare comunque informazioni. La tipologia di eventi va dagli eventi privati come matrimoni, concerti o mostre d’arte, esposizioni di qualsiasi tipo.” E’ ora di andare. Nbdv a fatica riesce a staccarsi da questo luogo, aveva proprio ragione Massimiliano, è un posto che t’incatena, che quasi ti stordisce per la sua imponenza e per la sua storia.
E mentre la porta di legno lentamente si chiude alle nostre spalle riecheggia nella mia mente come un déjà vu lo slogan dell’associazione:
“La grazia non è tutrice di se stessa, a noi il compito di proteggerla dal tempo e dall’indifferenza”.
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