Capita spesso, nelle situazioni più disparate, di ricorrere ad un proverbio per spiegare situazioni o concetti particolari.
Proverbi che nascondono la cultura e la filosofia di un popolo, costruita in secoli di vedute comuni; se ne ascolta uno nuovo ed il sorriso si innesca automatico quando ci si accorge che a poche parole seguono delle verità assolute.
Ogni popolo ha la sua storia personale, quella intima, fatta di episodi banali, avvenimenti quotidiani e assolutamente normali: ogni gesto ed ogni parola, che si crede sia andata persa nel vento dei secoli che passano, trova il suo appiglio nella memoria, che a sua volta trova il suo veicolo d’eternità nei popolari proverbi. Ciò che fa parte del nostro usuale bagaglio linguistico è in realtà un tesoro che ben spesso è dato per scontato: ciò a cui non si pensa spesso è che questi “detti” sono gli stessi ripetuti dai nostri avi, dai nonni dei nostri nonni e via continuando; all’interno di ciascun proverbio è nascosta una morale, un insegnamento atavico e la dimostrazione che l’essere umano tende a commettere gli stessi umani errori. Dagli albori della nostra cultura, il linguaggio dell’uomo si è sempre arricchito attraverso frasi fatte, parole semplici che sistematicamente rimandavano a concetti precisi: dai greci, che proclamavano la conoscenza di se stessi (gnôthi sautón), ai latini in particolare, i cui proverbi hanno resistito al tempo e vengono tutt’ora utilizzati (lupus in fabula/ mala tempora currunt/ ad maiora), fino alla cultura di ogni regione. Ma più di tutti, è il napoletano, che con ironia e sapienza, sfrutta i proverbi per diffondere, e conservare, i suoi insegnamenti più preziosi.
“Chi ten mal cervell ten bbon cosc”.
Chi non fa funzionare bene il cervello prima, poi dovrà avere delle buone gambe per rimediare all’errore di ingegno commesso.
Quando ero piccolo e mia nonna recitava questo proverbio in seguito ad una mia dimenticanza per la quale mi ri-mobilitavo per rimediare, io non capivo. Sentivo solo queste poche parole recitate come un verso di una canzone napoletana, ma il senso mi sfuggiva. Solo quando crebbi e mia nonna ormai non c’era più ne seppi apprezzare la genialità.
“‘A fissazzione è pegg ddà malatì”
La fissazione nuoce più della malattia.
Altra grande verità assoluta: una patologia può essere curata e quindi contrastata, ma quando la testa comincia ad entrare in quei meccanismi auto-distruttivi danneggia più di una malattia. E qui subentra:
“A cervell è na sfoglj e cipoll”
Il cervello è qualcosa di labile, proprio come le tante sfoglie che caratterizzano una cipolla.
“Ammore ‘e mamma nun te ‘nganna”
L’amore di una madre sarà sempre vero amore. Un consiglio dato da lei non trapela inganni o altri fini: vale solo per il tuo bene.
“‘A cunferenza port ‘a mala criànza “
La troppa confidenza, spesso, sfocia nella scostumatezza.
Chi di voi non ha mai recitato questa frase per far intendere all’interlocutore di non esagerare, magari nei modi o nelle parole, perché si sta entrando troppo nel personale? Questi sono solo pochi esempi di un vocabolario che in realtà risulterebbe vastissimo e dispersivo, qualora si volesse affrontare una vera e propria catalogazione. Il 2014 sta ormai andando in rassegna: qualche giorno ancora, dopo di che sarà 2015. Nell’augurare a tutti i lettori di Nbdv un anno all’altezza delle loro aspettative, vi lascio con il consiglio di mantenere sempre la calma in ogni circostanza, e con il più sincero augurio, ricordatevi sempre:
“Quanno si’ ‘a ‘ncunia, statte; quanno si’ martiello, vatte “
Quando sei incudine statti; ma quando sei martello batti, senza alcunapietà!
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