A Napoli il rapporto con l’aldilà e con i fantasmi è sempre stato vissuto con la caratteristica, propria dei suoi abitanti, di cercare di ottenere un vantaggio anche dalle esperienze più negative in cui ci si può imbattere. 

Per questo motivo, l’incontro con un defunto, se da un lato sicuramente incute paura, dall’altro è vissuto con la speranza di ottenere un aiuto, soprattutto di tipo economico. Basti pensare che la smorfia dedica ben due numeri ai defunti, distinguendo tra i semplici morti (47 o’ muort) e quelli che parlano (48 o’ muort che parl), questi ultimi ben più importanti dei primi, in quanto dalle loro parole si possono carpire preziose indicazioni per tentare la fortuna al gioco del lotto. Il grande Eduardo de Filippo ha saputo con ironia, e allo stesso tempo con cruda realtà, evidenziare questo aspetto, nella sua commedia “Questi fantasmi”, la cui trama descrive la storia di un uomo che piuttosto che ammettere il tradimento della moglie preferisce credere che il suo amante sia un fantasma che infesta la casa e che aiuta, con donazioni di beni e denaro, coloro che la abitano. Il protagonista della storia, pur provando terrore nell’imbattersi in “questi fantasmi”, tuttavia non vuole che abbandonino la casa per il timore ben più forte di perderne i vantaggi economici.

E a Napoli sono molti i luoghi che, secondo alcune leggende, sono abitati e infestati da presenze sovrannaturali. Uno dei più belli è sicuramente Palazzo Spinelli di Laurino, in via dei Tribunali. L’edificio appare oggi, come fu restaurato e modificato dal duca Troiano Spinelli, che affidò i lavori al famoso architetto Ferdinando Sanfelice, al quale si deve l’unico cortile a forma ellittica del centro storico, sulla cui sommità si staglia un orologio maiolicato, sovrastato dalla statua dell’Immacolata. Ma il Palazzo non è famoso solo per la sua bellezza architettonica, ma anche per la leggenda che lo lega al fantasma della bella Bianca. Orfana cresciuta tra le sale del palazzo, la fanciulla fu affidata come damigella a Lorenza Spinelli, donna perfida e prepotente verso il marito, che fuggiva spesso la sua presenza. Si racconta che un giorno la fanciulla incontrò col suo sguardo quello del marito della donna, la quale accortasi dell’accaduto decise di far murare viva la ragazza in un vano del muro della sua stanza. La povera Bianca, non potendosi difendere in alcun modo, disse soltanto Famme pure murà viva, ma in allegressa o in grandezza, tu mi viderraje. Si dice, infatti, che dalla sua morte, il suo fantasma appaia spesso ai discendenti della famiglia, tre giorni prima di un evento fausto o infausto.

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Piazza San Domenico Maggiore. Sulla destra è visibile il Palazzo Sansevero- fonte Wikimedia

Poco lontano da via dei Tribunali, a Piazza San Domenico, vi è un altro Palazzo che nella notte tra 26 e il 27 Ottobre del 1590 fu teatro di un’efferata tragedia: si tratta del Palazzo de Sangro di Sansevero, uno dei quattro edifici signorili che si affacciano sulla piazza. I protagonisti della vicenda sono il principe di Venosa Don Carlo Gesualdo, la sua bellissima moglie Maria d’Avalos e il terzo incomodo, il giovane Fabrizio Carafa D’Andria. Il matrimonio tra i due fu un tipico esempio di unione di convenienza, e infatti dopo le nozze il principe non prestò molte attenzioni alla propria moglie, la quale, famosa in tutto il regno per la sua bellezza, si innamorò del Carafa durante un ricevimento. I due amanti, quindi, cominciarono a vivere con passione la loro tresca, fino a quando lo zio del principe, don Giulio Gesualdo, si accorse di tutto e ne informò il nipote, il quale mise in atto un vero e proprio stratagemma per porre fine all’adulterio.

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Immagine di Maria d’Avalos- fonte Wikimedia

Don Carlo, infatti, pochi giorni dopo, finse di recarsi a caccia con il suo seguito, così che la moglie, finalmente libera, ne approfittò per incontrarsi con il proprio amante. Una volta informato dalle sue spie della presenza del Carafa al palazzo, il principe vi si precipitò immediatamente e, avendoli trovati a letto insieme, ordinò ai suoi uomini di ucciderli a coltellate. Successivamente i corpi, segno dell’offesa ricevuta e della vendetta consumata, furono esposti sulle scale del palazzo, laddove rimasero per una settimana, finché non furono restituiti alle rispettive famiglie per una degna sepoltura. Secondo alcune voci, i resti di entrambi riposano nella chiesa di S. Domenico Maggiore, uniti per sempre nel loro triste destino. Si dice che nelle notti di luna piena, sia possibile intravedere la figura di una bellissima donna aggirarsi per piazza S. Domenico e udire chiaramente le sue urla di dolore: è il fantasma della bellissima Donna Maria che ancora si dispera per la sorte subita. Da questa tragedia, tuttavia, Napoli ne ha tratto uno dei suoi tesori più belli: si dice, infatti, che il principe Raimondo de Sangro di Sansevero, che successivamente abitò il Palazzo, proprio al fine di redimere la propria famiglia dalla maledizione caduta, a seguito dell’omicidio, sull’edificio e su tutti coloro che lo avevano e che lo avrebbero abitato, fece costruire la meravigliosa Cappella di Sansevero, dedicata alla Pietà Divina, che ancora oggi custodisce un capolavoro di infinito valore artistico: il Cristo Velato.