C’era un tempo in cui una giovane donna fece perdere la testa al dio Apollo, il quale pur di averla al suo fianco la nominò sua sacerdotessa. In cambio la donna chiese l‘immortalità ma non l’eterna giovinezza, così col passare del tempo il suo corpo divenne sempre più fragile e piccolo tanto da arrivare alle dimensioni di una cicala. Ormai debole, Apollo decise di prendere con se la sua sacerdotessa accogliendola in una gabbietta all’interno del suo tempio.
Ma prima di arrivare alla fine di questa storia è bene ricordare dove la Sibilla, il nome della sacerdotessa, edificò il suo di tempio, il quale sorse in una grotta di forma trapezoidale scavata nel tufo, illuminata da 100 solchi laterali distanziati tra loro regolarmente: l’antro della Sibilla divenne il luogo in cui la sacerdotessa vaticinava i suoi oracoli e accoglieva i suoi fedeli.
Può sembrarvi solo un mito, ma no, non lo è. L’antro della Sibilla esiste davvero, non se l’è inventato Virgilio quando nell’Eneide citava gli oracoli sibillini scritti su foglie di palma e mossi dal vento.
Virgilio forse sapeva che questo luogo misterioso si trovava proprio qui, a pochi passi dal Vesuvio, a Cuma, eppure, solo nel 1932 l’antro è stato riportato alla luce in seguito a numerose ricerche che all’inizio davano per certo il Lago d’Averno come sede del tempio della Sibilla.
Oggi l’antro della Sibilla è visitabile e chi vi è entra coglie immediatamente un senso di mistero non riuscendo a percepire la fine del percorso. Un tunnel lungo il quale si respira il silenzio e il sacro. Ti aspetti di sentire ancora la Sibilla vaticinare mentre ti addentri in questo labirinto che sembra non finire mai, avvolto nel fascino di un tempo che c’è stato, ma troppo lontano, forse, per poterlo considerare reale.
Nessun Commento