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È da secoli ormai che ho perso la cognizione del tempo;
passano gli anni e le loro stagioni, ma per me un’ora è uguale a quella
precedente. Oggi c’è il sole di Luglio, eppure sono quasi certa che sia solo
inizio Maggio; la mia pelle scura ha già assorbito qualche raggio e comincia a
colorarsi.
Ma il Sole può anche bruciare, non gli si deve concedere
troppo: è un insegnamento che vorrei trasmettere a questo popolo che osservo da
quassù, ma so per certo che non rinuncerebbero mai all’unico dio che venerano.
Li ho visti prendere fuoco per anni: sulla pelle e nel cuore.
Sono millenni che li vedo calpestare suolo di polvere e magma depositato.
Ho visto il fuoco penetrare a fondo nei loro corpi, li ho
visti lasciarsi circondare da fumo e fiamme e scappare via quando ormai era
tardi: li ho visti lavarsi nel loro mare sporco, assorbendone il sale e la
storia che, con il tempo, si deposita sulle loro lingue in forma di proverbi.
Li ho visti idolatrare tante persone, forse troppe. Li ho
ammirati mentre ponevano fiducia in qualcuno e li ho odiati quando, poco dopo,
gli hanno voltato le spalle e tagliato la testa; li ho visti tornare sempre
verso il basso, strisciare col capo chino verso le loro case infossate nel
terreno e umide di muffa e malattia.
Non è un popolo come gli altri. Non ha schieramenti,
ideologie o identificazioni precise; non hanno orientamenti culturali, politici
o religiosi precisi. È tutto un mare eterogeneo di voci, volti e vie.
Li vedo aggirarsi nei castelli che hanno abitato i loro tanto
rimpianti re e organizzarvi eventi, feste e riunioni: ne dipingono di bianco le
pareti interne e decorano le stanze con sedie di plastica e freddi microfoni;
non sanno, ahimè, che quelle mura hanno impresso il ricordo di sospiri umani,
reali e caldi esattamente come i loro.
Eppure continuano a vivere questi
sospiri, sopravvivono le idee e gli ideali di un passato ormai sepolto sotto la
città.

Il furore di questo popolo focoso si tramanda di padre in figlio.

La Storia mescolata alla leggenda scorre nelle loro vene.
Dalle curve degli ultras ai vicoli dei quartieri spagnoli dove si nascondono
culti ancestrali per la celeste Madre, lì in piazza del Plebiscito, ai piedi di
trionfanti  re, ancora resiste uno
spirito nostalgico per una sovranità ormai decaduta.

Cos’è che anima questa terra frastagliata dalle onde del mare e arsa dalla luce
del Sole?

Nel calore profumato, nel vento che profuma di gelsomino e nell’aroma lontano
di un caffè preso all’ombra, la città si scopre: è in questo mese che non
scruta più i cieli nell’attesa delle nuvole.
Il popolo metà luce e metà ombra
cammina incosciente sotto il Vesuvio
, stringendo tra le dita un rosario
d’argento scadente e mormorando appena, tra i denti strette, preghiere che
ripete da secoli e secoli.
 Anche se il caldo è innaturale, è
proprio quel rosario e quelle cantilene che provengono dalle case strette, buie
e infossante, che mi ricorda che è Maggio. Il mese delle loro Madonne.