“La sofferenza in amore è un vuoto a perdere: nessuno ci può guadagnare, tranne i cantautori che ci fanno le canzoni.” [Massimo Troisi durante un’intervista di Gianni Minà nel suo programma Alta Classe del 1992]

Il modo in cui Massimo manca a tutti coloro che gli si sono avvicinati, chi purtroppo solo attraverso uno schermo e chi, beati loro, anche di persona, è la stessa sofferenza che prova un innamorato che ha perso l’amore della sua vita, e sa che non potrà mai più averlo indietro con sé. Solo che nel nostro caso, nemmeno i cantautori ci hanno guadagnato, ancora non ci siamo ripresi dal dolore di averlo perso. Sicuramente anche Pino lo confermerebbe. Alcuni, come il fedelissimo amico di una vita Lello Arena, si sono chiusi in un silenzio impenetrabile. Quando, come racconta lo stesso Arena, ci si conosce a 13 anni e si sta insieme fino alla fine e anche oltre, qualsiasi parola non potrebbe mai dipingere a pieni colori una vita insieme. Una vita che è andata anche oltre le semplici persone ed è entrata nell’Olimpo delle leggende.

Ci siamo accorti che era lui quello di cui ci eravamo innamorati solo dopo averlo perso per sempre, come succede solo con i veri amori. Lui era quello che davamo per scontato, quello che in fondo sapevamo ci sarebbe sempre stato. E così era anche la sua recitazione, discreta eppure incisiva, ciò che lo ha reso uno dei migliori attori italiani di tutti i tempi. Una capacità attoriale che lo portò fino alle candidature per il premio Oscar grazie al suo ultimo film “Il postino“, un successo purtroppo stroncato da una salute troppo cagionevole.

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Nei suoi film c’erano tratti che contraddistinguevano tutti i personaggi da lui interpretati: un pessimismo latente, quella malinconia che ti fa guardare fuori dalla finestra per pensare se emigrare o no, la persistenza del napoletano (lingua o atteggiamento che sia), la goffaggine, un accenno di balbuzie. Il suo imbranamento era il modo per aprire i cuori degli spettatori e farvi entrare il personaggio, ma quello che Massimo non aveva previsto è che insieme al personaggio vi sarebbe entrato anche lui, come attore e come persona.

Nel 1997, secondo una classifica della Federazione Italiana Psicologi, Troisi era un mito per la maggior parte dei giovani. In effetti, incarnava tutti i pregi e i difetti dei giovani italiani degli anni ’80 e ’90. Per uno strano gioco del destino, i ragazzi di oggi si trovano più o meno nella stessa situazione economica, e forse anche sociale, di quei ragazzi di un paio di decenni fa. Ed ecco che trova una nuova ragione il ritorno nelle sale italiane di “Ricomincio da tre” nel Novembre scorso, il suo film di debutto uscito al cinema nell’ormai lontano 1981.

C’è chi non si è mai scordato di Massimo Troisi, e chi se ne è innamorato appena qualche anno fa: i ragazzi delle ultime generazioni lo trovano geniale, nonostante siano, più dei loro genitori, bombardati da un nuovo tipo di cinema che si distacca completamente da quello di Troisi, cioè più grossolano e sboccato, meno acuto e spiritoso. Sarà anche che questa nuova generazione si sta “riscetando” e riappropriando dei propri simboli, come Troisi o Totò, e della propria identità, che questo attore fuori dall’ordinario difendeva oltre il mero uso del suo dialetto. Un film molto robusto in questo senso è “No grazie, il caffè mi rende nervoso”: un tentativo disperato di scatenare Napoli dallo stereotipo di “terrona”, mafiosa, scansafatiche che il resto dell’Italia le aveva affibbiato. Un tentativo letteralmente ucciso  di volta in volta nel film.

Chissà se un giorno non riusciremo a portare a termine questo processo, a non lasciar assassinare i nostri Artisti. Oggi ci sono tanti talenti che, a Napoli e in Campania, meritano sostegno e rispetto, e noi abbiamo l’obbligo di fornirglieli. Ma purtroppo dobbiamo anche convivere con l’idea che un genio artistico come Massimo non nascerà mai più e tenerci stretta almeno questa data, quella del suo compleanno, a ricordo di tempi in cui grazie a lui si rideva di cuore.