La Napoli di ieri e di oggi attraverso le parole di Povia

Ieri sarebbe stato impensabile, oggi se ne inizia a parlare, domani…Chissà, forse sapremo parte della verità.

Ci riferiamo a Napoli, a quella che era, che è, che sarà. Il famosissimo film del 1963 di Vittorio De Sica si intitola proprio così:  “Ieri, oggi, domani”, un lasso temporale su cui si focalizza Povia nella sua nuova canzone “ Al Sud ”. Il racconto storico dell’autore si impone tra le note a mo’ di favola, iniziando con l’emblematico “C’era una volta”: un passaggio temporale sul quale dovremmo focalizzarci per capire al meglio il rapporto tra quello che eravamo prima e che siamo oggi, come civiltà oltre che come comunità. Povia, nel video relativo alla canzone, sbuca così fuori dal libro fatato che racconta la storia dei Meridionali, quello che oggi fa male capire, quello che c’era “prima dell’Unità d’Italia”.

Prima, ma perché? La risposta viene dal blog dello stesso cantautore: “Chi me lo fa fare di toccare dei temi che non sono popolari per le masse? Perché so che ci sono persone come te che non si accontentano di sentire e vedere video e musiche con solo cuori e amori costruiti a tavolino. Il mondo muore lentamente nella corrente dei pesci anestetizzati dietro ad un computer con una connessione, che si bevono solo ciò che c’è in abbondanza”.

Insomma, dopo l’omosessualità e la bulimia, Povia torna a toccare temi forti, stavolta calandosi nella storia dell’Ex Regno delle Due Sicilie, dichiarando che “Al Sud è una canzone-video, d’amore e denuncia in difesa del Sud Italia, terra ricca, prospera, competitiva e produttiva, ma saccheggiata e deindustrializzata da quell’unità d’Italia fatta sul sangue della povera gente che fu costretta ad emigrare per sempre nel mondo. La mia passione-missione mi ha spinto a trattare questa storia, e ancora oggi ascoltandola ho gli occhi lucidi”.

Una verità che fa male, che spinge a chiedersi dov’è finito quello che c’era ieri e che avrebbe fatto parte del nostro oggi se l’Italia meridionale non fosse stata colonizzata. Probabilmente, la stessa Adelina di “Ieri, oggi, domani”, meravigliosamente “ideata” da Eduardo De Filippo, non si sarebbe data al contrabbando di sigarette se il Sud avesse potuto beneficiare della sua ricchezza.

“C’era una volta una nazione che si chiamava meridione, il suo re era Ferdinando II di Borbone, non esisteva emigrazione, non c’era disoccupazione, con i suoi pregi e i suoi difetti, c’era una volta il meridione”: queste alcune delle parole forti che risuonano nella canzone che contribuisce a boicottare il cantautore milanese che trova sempre più difficoltà a riscuotere applausi dai cosiddetti “benpensanti”. In compenso, il pubblico si dimostra molto affezionato a lui.

Del resto, anche ricordare i primati del Sud Italia può apparire molto scomodo: “La prima ferrovia, la prima cattedra in economia, le miniere di zolfo, la prima flotta mercantile e militare, Federico II, lingua italiana, scuola siciliana, la scienza, la filosofia, le tasse più basse, le industrie, Mongiana, Pietrarsa, Castellammare, eccetera, eccetera, eccetera”.

Un ritratto amaro se confrontato con quanto appare oggi ai nostri occhi, anche perché è inevitabile chiedersi dove sia finito tutto questo: “ Ferdinando morì e lasciò il trono al figlio Francesco che sposò Maria Sofia, una ragazza di Baviera, sempre uniti nelle battaglie, dal Volturno a Gaeta, aiutavano i soldati feriti, compresi i nemici, ma quei giorni segnarono la fine del Regno e di un patrimonio lasciato al mondo”. Eh sì, parliamo proprio di un patrimonio lasciato al mondo ma che dal mondo non viene riconosciuto al Sud ed a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, città curiosa, creativa, unica.

I Napoletani per antonomasia, sono i furbi, quelli che vivono di espedienti: ma è realmente così? Se fossero furbi per davvero, non credo verserebbero nella situazione attuale. Geografia, storia, tradizioni, superstizioni, miscellanea di culture, musica, gastronomia e tanto altro fanno di Napoli una realtà unica che va ben oltre il classico “pizza e mandolino”. Per carità, la pizza c’è e si vede, o meglio, si mangia, così come il mandolino si suona, ma questo avviene a livelli internazionali, altro che canzonette o neomelodici! Insomma, più che espedienti, mi sembra di vedere riduttivi stereotipi, ragione per la quale la famigerata “furbizia” partenopea scompare. L’espediente risiede, piuttosto, nell’aver abilmente fatto dimenticare la grandezza della napoletanità in quanto capitale.

A ricordarcelo, stavolta, è Povia , milanese di nascita ma profondamente colpito dalla storia del Regno delle Due Sicilie, dimenticata dai posteri grazie ad un processo di oblio indotto ben riuscito che, nel suo successo intitolato “ Al Sud ”, descrive una Napoli ben diversa da quella che siamo abituati a pensare oggi. Una Napoli che, non troppo tempo fa, non “portava la bandiera” per negatività, ma sventolava fiera quella del Regno che le aveva dato onore, rendendola una realtà internazionale da emulare, talmente “funzionante” da risultare pericolosa, scomoda, da eliminare, cosa che poi è avvenuta: un’eliminazione sistematica di tutte le peculiarità del Regno delle Due Sicilie, dalla moneta all’industria, passando per l’agricoltura e le preziose industrie manifatturiere. Manifattura, questa, architettata al meglio, ad opera dei Savoia e delle potenze europee che si sentivano minacciati dalla florida realtà napoletana. Screditare Napoli è diventata, così, una vera e propria missione.

La domanda sorge spontanea: che resta? Che resta dei cantieri che hanno generato l’Amerigo Vespucci? Forse l’occupazione degli operai in cassa integrazione? E di Capodimonte, che resta? Un bosco dove andare a correre la domenica mattina? Ecco quello che resta, o meglio, ecco quello che vogliono farci credere, ancora una volta. Ieri ci sono riusciti, ma oggi Napoli si sta risvegliando e la sua scia va ben oltre la Campania, ben oltre il Meridione, come dichiara lo stesso autore in riferimento alla sua “Al Sud ”: “ Povia è cognome pugliese. Ve lo chiedo con il cuore, spargetela a macchia d’olio, diffondetela, condividetela ovunque. Cambiamo almeno i libri di storia e diamo al Meridione la dignità culturale che gli è stata strappata per lo stesso motivo per cui ancora oggi prevalgono l’avidità e il potere”, non fosse altro perché “Al Sud è tutto un altro sole”.

Francesca Martire