Le case chiuse a Napoli: viaggio nei bordelli partenopei
Tutto si può dire di Napoli, tranne che sia una città “chiusa”: non lo è per confini geografici, non lo è per mentalità.
Lo stesso golfo è simbolo di “apertura” grazie alla figura materna del Vesuvio pronto ad abbracciare i nuovi arrivati. L’abbraccio della “mamma” partenopea è altrettanto emblematico… Figurarsi se poteva mancare quello delle calorose donne del Sud. E’ così che, anche le case chiuse, a Napoli, verrebbe da dire, erano “aperte”, come la mentalità e l’ospitalità dei Napoletani stessi. Esse erano, infatti, una realtà con mille agganci, disponibili in tante salse, o meglio, tanti ragù, adatte, insomma, a qualsiasi esigenza e tasca. Del resto, le case chiuse a Napoli, fino a poco prima degli anni ’60, erano circa 900: scusate se è poco.
I luoghi del piacere, insiti nella tradizione partenopea sin dall’epoca romana (si pensi ai lupanari di Pompei con tanto di figura di Kamasutra) sorgevano in ogni dove, principalmente nei Quartieri Spagnoli e oggi sono oggetto di una “riscoperta”. Le case chiuse, parte del vastissimo patrimonio culturale di Napoli, come sempre in bilico tra sacro e profano, permettono un viaggio nell’etimologia e nei costumi partenopei, a partire dal mestiere più antico del mondo.
Tutti sappiamo cosa vuole dire “fare bordello”, ma poco ci soffermiamo sull’ origine di questo detto, seppure piuttosto emblematica. Al di là della connotazione “rumorosa” del termine, va chiarito che il bordello, oltre ad essere un attuale luogo di confusione, era un posto di perdizione, definito anche “casa di tolleranza” o “postribolo”. Nelle case chiuse si potevano soddisfare le proprie voglie al prezzo affisso su quelle storiche targhette che oggi sono esposte nei pub di mezzo mondo.
I tariffari proibiti che una volta non vedevano mai la luce del sole, posizionati com’erano nei bassi, oggi sono esposti con fierezza ed ironia nei locali notturni e non. E’ proprio la storia di queste “targhette” che molte associazioni culturali narrano tramite un excursus di circa due ore in un insolito tour all’insegna della viziosità che vede studenti e over 65 raggruppati in un insolito tour all’insegna della Napoli di un tempo. Realtà, quella delle case chiuse, che a Napoli regnava indisturbata sino al 1958, anno della legge Merlin che ne sanciva la fine.
Negli stessi vicoli che ospitavano ed ospitano altarini votivi in onore di Santi e Madonne, si nascondevano la maîtresse e le sue signorine che rivivono, oggi, grazie alla rappresentazione di figuranti in costume durante le visite guidate. Costumi ed accessori, dalle piume alle collane di perle, facevano parte dell’armamentario delle prostitute che hanno lasciato ai posteri foto in bianco e nero per nulla volgari, persino artistiche. L’eleganza mista a savoir faire e ironia era una componente fondamentale delle case chiuse dove regolamenti di svariato tipo permettevano di gestire i flussi di clientela, dando vita agli avvisi che oggi ci fanno sorridere.
Stimata casa, casa del piacere, villino, lupanare, casino, pensione, salotto: sono solo alcuni dei nomi attribuiti a quelle che oggi conosciamo sotto il nome di “ case chiuse ” intitolate, a volte, direttamente alla Madama o alle Sorelle di turno che stabilivano il preciso tariffario e l’intransigente regolamento. I pagamenti fatti in camera, infatti, non erano considerati validi, non bisognava intrattenere più del dovuto le signorine, specie se in cerca di uno sconto e, in alcuni casi, il buon costume esigeva che i clienti si presentassero all’accettazione in abito, camicia bianca e cravatta.
Il tempo di intrattenimento poteva variare, in base al pagamento, da mezzora o un’ora sino a mezza giornata, ma la differenza la faceva la qualità: si parlava, pertanto, di sveltina, doppietta, camera con braciere, sapone o acqua di colonia. Come qualsiasi attività che si rispetti, non poteva mancare la politica di offerta che andava dai teli gratis alle agevolazioni per studenti, militari o primo pelo. Insomma, un’attività di tutto rispetto, dove già esistevano le strategie di marketing e che ci insegnano, ancora una volta, quanto Napoli possa essere rispettosa delle regole, alla faccia di chi definisce i Partenopei un popolo di sregolati.
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