Mi piace quel momento in cui in una coppia senti di poter essere te stesso. La sensazione tipica di quando torni a casa e, prima ancora di accendere le luci, ti togli le scarpe – lanciandole chissà dove nel buio del corridoio – per poi sprofondare nel divano. Stanca ma finalmente avvolta dalle tue cose. Spesso resto così per molti minuti, in silenzio, nell’oscurità, nel relax più totale. Odio persino il suono del cellulare in quei minuti in cui, dimentica di tutto, vorrei che il mondo potesse fermarsi e smettere di fare rumore. Oggi mi hai chiesto cos’è che mi mancava della nostra vita in due, di quando ieri eravamo insieme a combattere contro la quotidianità e le sue mille insidiose inceppature. Ho abbassato lo sguardo perché in fondo non sapevo cosa risponderti, ho cominciato a giocherellare col tovagliolino del bar, ho notato che il bicchiere di prosecco era quasi finito e ne ho ordinato un altro.

“Allora?”, mi hai chiesto spazientito.

“Ti ho amato di quell’amore di cui non ero neppure a conoscenza ma non mi manca nulla di quando eravamo insieme”, ti ho risposto con franchezza.

“Mi ami ancora?”

“Si, ti amo ancora.”

“Torniamo a vivere insieme?”

“No!”

“Perché?”

“Perché tornare a vivere con te significherebbe smettere di vivere con me. Non è colpa tua, e non è colpa mia, quello che so per certo è che non sono più disposta a rinunciare a neppure un istante della qualità del tempo da passare insieme a me. Con te non ho mai potuto essere me stessa fino in fondo. Con nessuno, per quanto i romanzi si divertano a raccontarci il contrario, possiamo essere davvero noi stessi. Amo l’idea di gestirmi da sola le mie libertà e le mie prigionie, e lo sai che di prigionie ne ho davvero tante. Perché, in fondo, se devo farmi male – anche gratuitamente – lo so fare benissimo: e non c’è nessuno – neppure tu con le tue continue richieste ed i tuoi tentativi di rendermi qualcosa o qualcuno che non sono – capace di farmi male e bene più di quanto possa farmi male e bene da sola. Vedi, sono autonoma anche in questo.”

“Mi dipingi come un mostro.”

“Non lo sei e ai miei occhi non lo sarai mai. Forse lo sei stato, ma ho imparato ad assolverti…come spero di essere in grado di assolvere anche me stessa prima o poi. Per tutte le colpe – vere, presunte e immaginarie – che qualche volta mi hai tatuato addosso e di cui, pur avendoci provato, non riesco a liberarmi.”

“Cosa sarà di noi?”, mi hai domandato mentre la cameriera ci portava il conto.

“Non lo so. So benissimo cosa siamo stati ieri, e quello che eravamo non mi piaceva. È il nostro essere insieme che non ci abbellisce, diventiamo grigi come quegli abbinamenti che sembrano originali ma che alla lunga fanno storcere il naso. So benissimo cosa siamo oggi, e nei tuoi occhi leggo che stavolta non piace a te, perché vorresti qualcosa che non sono capace di darti. E non voglio più domandarmi se sei tu a chiedermi troppo o se sono io a darti poco. Voglio godermi in pienezza i miei silenzi e le mie loquacità, senza sentire addosso il peso di quando mi chiederai il perché dei miei atteggiamenti. Voglio potermi concedere il lusso di essere acidissima e poi dolcissima, di scandagliare uno ad uno tutti i miei squilibri e le mie nevrosi: lo sai benissimo che ne sono piena, ma non sai che la mia collezione si arricchisce di nuovi esemplari giorno dopo giorno. E, se non lo sai, è perché non saresti mai in grado di comprendere.”

“Il problema sono io.”

“Nessuno è il problema. Credo solo che a volte stare insieme significhi anche prendere delle boccate d’aria e godere di respiri e di spazi da riempire. E, non per forza, questi respiri voglio riempirli con te e, soprattutto, non per forza tu dovresti voler riempire i tuoi insieme a me: so che non vai da nessuna parte ma il saperti distante talvolta mi rende felice. E dovrebbe essere lo stesso anche per te.”

“Sai cosa ti dico?”

“Cosa mi dici?”

“Goditi tutta la cazzo di aria che vuoi. Sei libera di respirare!”. Sei andato via, lasciandomi in piedi e muta tra i tavolini del bar.

Non so cosa sia successo oggi pomeriggio. Non so cosa succederà domani pomeriggio. Non voglio neppure saperlo. Non mi importa, francamente. Ti sei allontanato, non so se solo per un momento o per sempre. So di essere una persona difficile, non l’ho mai nascosto, per prima a me stessa. Sono tante le cose che non so. Forse l’unica cosa che so, ora come ora, è che non mi fa più paura respirare, con o senza di te.