Dalla credenza popolare più antica, dal modo di vivere le speranze e i sogni, da quella piccola rivincita sulla vita che il gioco del lotto può regalarti, E. De Filippo si ispira per scrivere e mettere in scena la più divertente e completa commedia comica della sua lunga carriera, Non Ti pago.
Probabilmente conosciamo tutti le vicende raccontate in questa commedia, quell’umorismo tragico a cui Eduardo ci ha così ben abituati, dando spiegazioni semplici alle vicende della vita reale, mettendo insieme sacro e profano, raccogliendo credenze che il popolo napoletano ha adottato come scienza esatta, con quel rapporto estremo e intimistico che ogni napoletano si concede con i suoi congiunti passati a miglior vita.
Ferdinando Quagliuolo è il proprietario di un botteghino del lotto, dove i sogni della gente comune si materializzano in forma di numeri da giocare, dove tutti sperano nell’estrazione del numerino che può cambiarti la vita.

Don Ferdinando è una persona tranquilla, autoritaria ma buona, se non fosse per il suo vizio di spendere molti soldi giocando il lotto nel suo stesso botteghino, non certo per arricchirsi, è una persona benestante; il bancolotto infatti gli era stato lasciato in eredità dal padre Don Saverio Quagliuolo defunto pochi anni prima, e il suo gioco è giustificato solo da quell’attimo adrenalinico che ti regala la vittoria, quella sensazione inebriante che ti fa gridare: HO VINTO!

Ma purtroppo, Ferdinando Quagliuolo non vince mai.
Braccio a braccio con don Ferdinando, nel bancolotto ci lavora un certo Procopio Bertolini, (nella versione Rai il nome verrà cambiato in Mario Bertolini) un ragazzo rimasto orfano da piccolissimo e cresciuto in casa e nel botteghino dei Quagliuolo, innamorato della figlia di don Ferdinando; fin qui niente di strano se non fosse per la sua esasperata fortuna nel gioco del lotto, in barba al povero Ferdinando che non ne azzecca una.
Come ogni napoletano “fortunato” che si rispetti, Bertolini sogna, gioca e vince e presto l’affetto di Ferdinando si trasforma in invidia, è troppo fortunato per i suoi gusti, ma questa invidia si limitava ad una rabbia privata e passeggera, fino al tragicomico evento: Bertolini abita nella casa dove don Ferdinando viveva con il padre, l’aveva lasciata perché troppi ricordi tristi erano legati a quell’appartamento. In un giorno qualunque, dell’estrazione del lotto, Procopio Bertolini vince una quaterna milionaria, ed essendo i Quagliuolo l’unica famiglia che conosce oltre ad una vecchia zia che gli fa quasi da governante, corre a dare la felice notizia alla famiglia, sperando così di poter coronare il sogno di sposare Stella, la figlia di don Ferdinando, comunicandogli che stavolta aveva sognato il padre, ovvero il vecchio don Saverio che tanto aveva aiutato da bambino il giovane Bertolini e lo stava facendo ancora. In un impeto di follia don Ferdinando afferma che la vincita spetta lui, perché i numeri li aveva dati il padre defunto e per di più abitando nella sua vecchia casa, l’anima di don Saverio si era confuso perché non conosceva l’indirizzo della nuova casa.
(vi invito a guardare la commedia, ma in particolare questa scena e le espressioni di Eduardo)

Dopo mille vicende, testimonianze false, avvocati, preti e consiglieri poco attendibili, don Ferdinando restituisce il biglietto fortunato al legittimo proprietario, ma maledicendolo e rivolgendosi al padre che gli aveva fatto un torto regalando questa vincita al suo “nemico”. La credenza popolare anche stavolta come nel caso della cabala dei numeri si fonde con tutta la napoletanità popolare, quella suggestione che accompagna la vita di ogni persona: fatto sta che ogni volta che Bertolini tenta di ritirare la vincita gli succede un guaio, ma grosso, la maledizione sta avendo effetto con grande soddisfazione di don Ferdinando, fino a che il povero Procopio non si decide di liberarsi del biglietto maledetto pur vivere felice e sposare la sua amata Stella. Ma don Ferdinando che fondamentalmente è un buono, si ravvede e mosso a compassione anche dalle lacrime della figlia,  accetta il biglietto, concede ai due innamorati di sposarsi e regala alla figlia il corrispettivo della somma vinta come dote di matrimonio. Potrebbe finire con il più classico dei “vissero felici e contenti” ma credo che Eduardo se dovesse raccontarla come io ho cercato di fare , potrebbe chiuderla con un più tragicomico :
Se campa pure e soddisfazioni.

Gli occhi di Eduardo in questa commedia si posano su un personaggio buono, che vuole solo la serenità e quella piccola soddisfazione umana che ogni persona vuole, non è avido di denaro, ma come ogni napoletano che si rispetti è avido di felicità, di bellezza e di sentimenti buoni.
Ovviamente fu un successo di pubblico fin dalla prima rappresentazione sia di critica che di pubblico.

Eduardo riesce con una naturalezza disarmante a portare in scena l’ira, la testardaggine, l’irrazionalità in un mix perfetto di gesti e tempi teatrali di una comicità assurda e avanguardista.