“Quei fantasmi sono quelli degli amanti? O divini, divini fantasmi! Perché non possiamo anche noi, come voi, spasimare d’amore, anche dopo la morte?”, da Leggende napoletane di Matilde Serao su Palazzo Donn’Anna
Storie di mistero, intrighi di palazzo, memorie remote e vicine, storie di fantasmi. Sì, proprio così, storie vere di fantasmi! Fantasmi napoletani che hanno dato luogo nella cultura narrativa a palazzi fantasma. Caratterizzata da un’aristocrazia che fonda le proprie radici nella tradizione normanna, se non addirittura precedente, Napoli si è dotata nei secoli di una serie di palazzi nobiliari che hanno dietro di sé, oltre ad una lunga e affascinante storia, anche un numero rilevante di racconti, miti e leggende popolari legati alla loro costruzione, ai loro abitanti o al loro legame con i diversi quartieri. Nella cultura popolare partenopea hanno sempre avuto un ruolo primario le storie di fantasmi, di leggende e di personaggi misteriosi. Pare quasi che ogni edificio di una qualche rilevanza nella città abbia il proprio fantasma in dotazione. E forse è proprio così! Si pensi ai misteri di Palazzo Sansevero o agli scheletri di Casa Morano, passando per il diavolo di Palazzo de Penna e potremmo continuare con il Palazzo dell’Impiccato o il fantasma di Palazzo Reale e le anime di Palazzo Fuga. Oggi NBDV vuole entrare nella storia e nelle pieghe segrete e misteriose di un vero e proprio gioiello nel panorama dei palazzi storici di Napoli, uno degli edifici più curiosi e spettrali della città, un palazzo che vanta una lunga fama e tradizione: Palazzo Donn’Anna. “Perché palazzo Donn’Anna non era soltanto un palazzo, era un mondo, talmente vasto che non si finiva mai di esplorarlo e di scoprire angoli nascosti, scale misteriose, e grotte oscure, pozze d’acque morte e perfino trabocchetti dove la regina Giovanna della leggenda faceva precipitare i marinai… sembra fatto di sughero, lo stesso con cui si fanno i presepi. La pietra di tufo con cui è costruito, corrosa dal mare, dal vento e dal salmastro, le grotte, le nicchie, le finestre e i grandi archi della facciata aperti sul golfo danno l’aspetto a questa grande dimora seicentesca, ora l’aspetto di romantica rovina ora di cosa naturale, scoglio, rupe o promontorio…”. In queste righe l’omaggio di Raffaele La Capria, scrittore napoletano che nel 1961 con il romanzo “Ferito a morte”, ambientato proprio nei luoghi segreti di Palazzo Donn’Anna, vinse il Premio Strega. Chi meglio di lui, che ha trascorso la sua infanzia e la sua prima giovinezza nello storico palazzo, può parlarne? E anche nella sua sentita e romanzata descrizione ritornano i recessi segreti e misteriosi della dimora che, tra passato e presente, diventa così un contenitore di storie, storie vere e fittizie. C’era sì, col buio, la paura dei fantasmi ma al mattino, quando una luce folgorante invadeva le stanze, ecco le meraviglie della natura col respiro del mare. Nascono qui le “belle giornate” dell’autore di “Ferito a morte”.
Storia del palazzo
Veniamo ora alla storia documentata del palazzo. L’edificio, ubicato nella zona che per il suo incantevole panorama “fa cessare il dolore” – il quartiere Posillipo – sembra nascere dalla roccia marina. Fu costruito sul finire del XV secolo su una preesistente struttura detta La Serena, di proprietà di Dragonetto Bonifacio, nominato marchese dall’imperatore Carlo. Successivamente passò nel 1571 ai Ravaschieri, i quali poi la vendettero per 800 ducati al principe Luigi Carafa di Stigliano, nonno della famosa Donn’Anna Carafa, considerata all’epoca “la prima dote d’Europa” per le sue ricchezze, figlia di Antonio ed Elena Aldobrandini, mai amata dal popolo e tanto più odiata in seguito al matrimonio con il vicerè Filippo Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina, che lasciò un cattivo ricordo della sua amministrazione svolta dal 1637 al 1644.
Nel 1642, il palazzo era stato ricostruito ex novo da Cosimo Fanzago, prendendo appunto il nome di Palazzo Donn’Anna. Il progetto dell’architetto bergamasco era davvero grandioso: attraverso un portone aperto sul mare si poteva passare al coperto dalle barche ad una scala che portava all’interno, mentre le carrozze entravano dalla strada direttamente in un cortile che all’altezza del mare corrispondeva al secondo piano del palazzo ed avrebbe dovuto essere ornato di statue. Ma i lavori, durati oltre due anni, si interruppero con la morte improvvisa di Donn’Anna nel 1645 e il ritorno in patria del viceré e ben presto i napoletani assimilarono quelle logge e quegli archi incompleti ad antiche rovine romane, già sparpagliate nei dintorni. Il palazzo ebbe poi alterne vicende: oggetto di saccheggio nei moti della rivolta di Masaniello del 1647, passò di proprietà a Nicola Guzmán che lo fece restaurare ed innalzare di tre piani, ma comunque non trovò pace e nel 1688 venne danneggiato dal terremoto che provocò anche la morte del Guzmán, cosa che alimentò ancor di più la sua sinistra fama, lasciandolo diroccato: “le mareggiate cancellarono gli affreschi del salone, portarono sabbia nei cortili, conchiglie ed alghe ricoprirono i gradini che portavano al mare” (da Partenope Magica di C.B. Manacorda). Durante il regno di Ferdinando IV di Borbone per allargare la strada di Posillipo ne venne parzialmente distrutta un’ala. Nel 1824 divenne una fabbrica di cristalli e fu in seguito acquistato dalla Banca d’Italia e in ultimo dai Capece Minutolo e poi dai Colonna di Paliano.
Palazzo Donn’Anna in Leggende napoletane di Matilde Serao
Il palazzo ha ispirato – come già anticipato dalla breve descrizione di Raffaele La Capria – la letteratura, la narrativa, miti e leggende e su questa scia oggi continua a esercitare fascino nella vista di chi lo ammira alto e imponente nel mare di Posillipo. “Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie. Mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle sue alghe. Di notte il palazzo diventa nero, intensamente nero; si serena il cielo sul suo capo, rifulgono le alte e bellissime stelle, fosforeggia il mare di Posillipo, dalle ville perdute nei boschetti, escono canti malinconici d’amore e le monotone note del mandolino: il palazzo rimane cupo e sotto le sue volte fragoreggia l’onda marina”. Questa la suggestiva descrizione tratta da “Leggende Napoletane” di Matilde Serao.
Sul palazzo pendono, infatti, una serie di affascinanti e terribili leggende. Per alcuni il palazzo è stato anche la dimora della regina Giovanna d’Angiò che aveva, a quanto pare, un’abitudine da brivido. La regina sceglieva i pescatori più belli e aitanti della zona e trascorreva con loro notti folli di passione che puntualmente finivano in tragedia: all’alba li ammazzava, gettandoli dalle finestre del palazzo. E pare che gli spiriti di questi sventurati giovanotti si aggirino ancora nei sotterranei dell’antica dimora. La leggenda, sedimentatasi attraverso i secoli, resiste nonostante documenti inoppugnabili dimostrino che il palazzo fu costruito in un tempo in cui della lussuria di Giovanna si erano perdute le tracce da due secoli. Ma soffermandoci su “Leggende napoletane” della Serao, la scrittrice, che con questo libro narra frammenti di lunghi avvenimenti dimenticati connessi ai simboli di Napoli, parlando di Palazzo Donn’Anna ci catapulta attraverso una dettagliata descrizione nel clima di corte da cui nasce una particolare leggenda d’amore.
Donn’Anna Carafa fece del suo palazzo una sfarzosa reggia in cui amava organizzare magnifici ricevimenti a cui partecipava tutta la nobiltà spagnola e napoletana. Durante una di quelle feste il palazzo splendeva di luci più che mai; era tutto un via vai di servi e maggiordomi che si apprestavano ad ormeggiare le barche degli invitati, mentre la ricchissima, potente e temuta Donn’Anna, nel suo preziosissimo abito rosso tessuto a lama d’argento, accoglieva sprezzante ed orgogliosa i suoi ospiti.
Quella notte in fondo al salone era stato allestito un teatrino per lo spettacolo di una commedia, i cui attori, secondo la moda francese in voga al tempo, erano tutti nobili. Tra essi vi era anche la bellissima e giovane Donna Mercedes de las Torres, nipote della duchessa, che recitava nel ruolo della schiava innamorata del suo padrone interpretato da Gaetano di Casapesenna. Nella scena finale, che li vide baciarsi per l’ultima volta, entrambi risultarono talmente veritieri da far scoppiare applausi fragorosi nell’intera sala. Tutti applaudirono e si commossero, tranne Donn’Anna che invece impallidì logorata dalla gelosia nel vedere il suo amante baciare appassionatamente la giovane Mercedes. Nei giorni seguenti le due donne si scontrarono violentemente e poi all’improvviso Donna Mercedes scomparve misteriosamente nel nulla. Si disse che, spinta da improvvisa vocazione religiosa, si fosse chiusa in convento. La realtà, ben più cruda, fu che la bella spagnola dopo una violenta lite con la zia venne uccisa in una delle stanze del palazzo per ordine proprio di Donn’Anna. Invano il povero Gaetano la cercò in Italia, Francia, Spagna ed Ungheria, pregò e supplicò piangendo tutte le lacrime che aveva, fino a quando non morì in battaglia. La gelosia aveva avvelenato l’anima di Donn’Anna e quel livore, fino alla fine dei suoi giorni, non l’abbandonò mai. Secondo questa leggenda nel palazzo appaiono, di tanto in tanto, il fantasma della crudele Donn’Anna e le presenze dei due sfortunati amanti che si cercano disperatamente in eterno.
Una storia, dunque, coinvolgente che ha tutti i crismi dell’intreccio, tra amore contrastato, l’antagonista nella perfida Donn’Anna e presenze di fantasmi.
Il palazzo oggi
Ma cosa ne è stato oggi di palazzo Donn’Anna? Premesso che non costituisce polo museale e non è visitabile, il salone delle feste, ridotto a deposito, venne acquistato negli anni 50 del secolo scorso dal prof. e architetto Ezio De Felice e trasformato nel suo studio-atelier. Alla morte del prof. De Felice, la vedova, prof. ssa Eirene Sbriziolo, diede vita ad una fondazione culturale intitolata al marito, in associazione con la Regione Campania. Il Teatro, eretto a un palmo dal mare, è ora sede di seminari scientifici ed eventi di alta cultura. Lo scorso 10 giugno è stato luogo eletto per il premio internazionale “Cosimo Fanzago”, evento che si colloca nell’ottica costante di tramandare l’arte e l’architettura barocca e la figura di Cosimo Fanzago, il grande architetto e scultore seicentesco che contribuì a rendere unico il patrimonio monumentale e artistico della città. La parte restante del palazzo è stata adibita a struttura condominiale in cui spicca la presenza, dal 2013, della homegallery della nota gallerista napoletana Lia Rumma, una sorta di stanza delle meraviglie, aperta in circostanze speciali e a pochi eletti, in cui sono esposte le installazioni degli artisti contemporanei cresciuti sotto l’ala materna della gallerista. Così, dalle leggendarie storie antiche arriviamo alla storia contemporanea in cui pur sempre Palazzo Donn’Anna si connota nel suo aspetto legato a doppio filo all’arte, alla bellezza e alla cultura. Dalle acque di Posillipo, strizzando l’occhio a Capri e Sorrento, al dondolio di una barchetta, lo spettacolo è assicurato. Ma, attenti ai fantasmi…
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