Centinaia e centinaia di fazzoletti bianchi sventolano sul sagrato del duomo in un ventoso pomeriggio invernale.
E’ il 5 marzo e i napoletani sono accorsi per proteggere colui dal quale, per secoli, sono stati protetti.
I fazzoletti vengono raccolti per essere legati al cancello della cappella del santo. Qualcuno sfugge via dalle mani, viene portato in alto dal vento. Chi l’ha perso impreca, ma con rispetto, poi si guarda intorno, sperando di non essere stato ripreso dalle telecamere.
I cittadini si raccolgono, si stringono intorno agli organizzatori.
“Giù le mani da San Gennaro” urla una donna.
“Giù le mani da San Gennaro” “Giù le mani da San Gennaro” “Giù le mani da San Gennaro” : l’effetto domino riempie di voci la piazza e, poco distante, qualche turista inconsapevole si unisce alla folla, sorride, chiede di poter firmare la petizione.
Protettore, emblema e parte della città stessa.
San Gennaro è stato per secoli venerato, rispettato, visceralmente amato non solo dai napoletani, ma da tutti coloro che, su Napoli, hanno avuto dominio o reggenza.
Quasi mai la sua figura è stata rilegata a uno status di distante e irraggiungibile santità. A lui le donne del popolo si sono rivolte sì con rispetto, ma anche con franchezza.
Lacrime, sorrisi: nulla è stato negato al busto del santo che, nel duomo della città, ha ascoltato storie che si sono fuse a secoli di tradizioni, tragedie e sospiri di sollievo.
Sembra un paradosso, ma la sua è una santità che trascende la santità stessa, perché è cultura, storia, linfa e sangue di Napoli.
E, ormai da 500 anni, una tradizione laica è quella che inquadra la figura di San Gennaro nella gestione operata dalla Deputazione, un organo che sovrintende tutto ciò che è relativo alla figura del santo, dal tesoro allo svolgimento delle cerimonie.
Tuttavia il violento desiderio di intromettersi in tale gestione ha portato a pressioni e folli richieste, ormai concretizzatesi, purtroppo, nel decreto del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che aprirebbe alle ingerenze della curia e del cardinale Sepe, snaturando la Deputazione e il suo carattere laico.
Un atto di violenza, un tentativo illegittimo di appropriarsi del cuore di Napoli, un cuore su cui le mire di molti hanno più volte manifestato le proprie intenzioni: non va dimenticato il rifiuto dello Stato Vaticano di restituire il tesoro del Santo, avuto in custodia negli anni della guerra, e tornato a Napoli solo grazie all’intervento di Giuseppe Navarra.
Chiediamo allo scrittore Luca Delgado, uno degli organizzatori dell’evento, cosa si chiede in concreto:
“Siamo qui intanto per contarci, per mandare un messaggio forte a Roma. Per dimostrare che i napoletani sono compatti e, nella maniera più assoluta, non accetteranno che il controllo del tesoro di San Gennaro e di quanto legato al culto del santo sia dato alla curia. Noi siamo napoletani e per cinque secoli siamo riusciti a gestire tutto ciò: non capiamo perché da Roma ci mandino un controllo su quello che abbiamo dimostrato di saper controllare”.
Napoli ha il raro e mistico dono di essere un corpo vivo.
Lo si sente quando si passeggia tra i violetti del centro storico, vasi sanguigni pulsanti, contratti nello sforzo di sopravvivere alla recidiva tendenza degli altri a svalutare, demonizzare, marchiare. E lo si sente quando, credenti o non, si arriva davanti alla facciata del duomo, consapevoli di essere arrivati a uno degli organi vitali. Un organo prezioso, ma la cui fragilità non può essere compresa da chi, per secoli, vuole appropriarsi della figura del santo per renderla altro, farne un mezzo, non il fine, non il cuore.
Giù le mani da San Gennaro.
Lo diciamo ancora.
Lo diremo sempre.
Se potesse, sono certo lo direbbe anche il santo “Luatm e man a cuoll “
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