Confondersi con i sostenitori della famiglia tradizionale non è semplice.

A volte devi forzarti, fare un bel sorso di saliva e restare zitto mentre, davanti a te, una donna passa con una foto tra le mani. La foto raffigura una coppia omosessuale che ha appena avuto un figlio e, alla platea, si mostra quanto risultino “innaturali” alcune cose.
E’ il 25 gennaio e sono al convegno “Una mamma ed un papà: niente di diverso”, organizzato dal circolo “La Contea”.
Il pubblico scuote la testa.
Qualche signora anziana, vestita di pelliccia, ostenta disgusto e guarda in un’altra direzione.
Guardare altrove per non vedere, non vedere per guardare altrove: le cose sono strettamente connesse, ma pochi se ne accorgono. Nessuno lo capisce.
Sono seduto in ultima fila mentre l’onorevole Taglialatela e Gigi Mercogliano, portavoce del comitato “Difendiamo i nostri figli” di Napoli, parlano del pericolo imminente della legge sulle Unioni Civili.
Alcune parole si ripetono con una cadenza che ricorda il ritornello di una canzone, uno slogan fatto di sillabe mangiate e lettere mal pronunciate che si infilano nella testa così come sono, creando concetti mai esistiti, paure, pregiudizi.
“Se passa la legge contro l’omofobia, chi si oppone all’omosessualità rischia sei anni di carcere” dice Gigi Mercogliano.
“Vogliono far adottare dei poveri ragazzi negli orfanotrofi agli omosessuali, senza dare una mamma ed un papà” dice l’on. Taglialatela.
Disinformazione.
Ignoranza.
Strumentalizzazione.
Ma nessuno parla. Un annuire comune, il ritmo delle teste che fanno su e giù, il rischio di una paura che si fa mentalità e, nella peggiore delle ipotesi, rabbia.
E’ questo che accade quando la politica tratteggia le linee di un’ideologia deformata.
Una signora in seconda fila si gira verso la porta. Incrocia i miei occhi e sbuffa. Forse, come me, trattiene una parola.
E’ quella parola trattenuta che ha più peso di ogni cosa in quella sala.

Esattamente una settimana dopo, il primo febbraio, sono all’istituto Sacro Cuore di Casoria per il terzo incontro del convegno “Emergenza Gender”.
Ho penna e taccuino, un registratore in tasca e la consapevolezza che questa volta, forse, non riuscirò a stare zitto per tutto il convegno, che le parole verranno fuori come un fiume in piena senza seccarmi la gola, che non riuscirò a trattenerle dentro e scriverle, a tempo debito, su una pagina bianca.
Qualche suora mi guarda con sospetto: sono troppo giovane per essere un insegnante di religione.
Accanto a me, anche lui in incognito, Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli.
Il relatore di oggi è don Antonio Scarpato che, dopo essere stato introdotto, fa un gran sospiro che viene amplificato dal microfono e risuona lungo le pareti della sala teatro.
Siamo in un istituto religioso, in una città di provincia, in un contesto di informazione e coscienza certamente più capillare rispetto a quello delle grandi città. Un luogo che suggerisce non certo modernità, solo una sorta di reminiscenza infantile, staticità, forse inquietudine.
Eppure ogni pregiudizio che ho viene meno già dopo le prime parole del relatore.
Diversità, accettazione, dignità di tutti. Questi i punti cardine del lungo discorso di don Antonio Scarpato.
Non una parola che suggerisca discriminazione, non una parola contraria alla dignità di tutti, anzi ci si sofferma sull’inadeguatezza del titolo del convegno stesso.
Alla fine della conferenza mi avvicino, mi presento come giornalista e gli stringo la mano.
Anche Antonello Sannino si presenta e don Antonio Scarpato lo abbraccia, invitandolo a ulteriori incontri e confronti di idee.

Due eventi per la famiglia.
Due eventi diversi: l’uno politico e laico, l’altro religioso.
La politica dovrebbe garantirci i diritti e le libertà che ci spettano, prerogativa di un vivere civile che viene posto come il frutto di un sacrificio dovuto, invece che come portata principale di un pasto offerto dal buonsenso.
La religione non ha questo scopo, non ha questo potere, non ha questo obiettivo. Quando ci schieriamo contro di essa, a volte lo facciamo consapevoli di una sua secolare ideologia che, ahimè, tarda ad evolversi.
Eppure il ritardo di un evoluzione religiosa, seppur forse non giustificabile, è più comprensibile di un ritardo a livello politico e legislativo. Una politica che svaluta in continuazione il riconoscimento dei diritti civili e che strumentalizza ideologie al fine di ottenere un tornaconto personale.
Un pericolo costante, in quanto “la creazione di una ideologia (gender) strumentale alla violenza di politici spietati, ma senza capacità ed idee, è il primo passo verso la generazione di percorsi davvero pericolosi. Su questo bisogna trovare un argine importante. Arginare gente come l’on. Taglialatela” come ha affermato Antonello Sannino.

L’on. Taglialatela, in quanto deputato, ha il dovere di fornirci dei diritti.
Don Antonio, invece, no.
Eppure il secondo è più avanti del primo, più cauto, più informato, meno mistificatore.
La religione non si è posta sullo stesso percorso della politica e, in alcuni casi, l’ha superata. Certo, ci sono interferenze non dovute, tentativi di influenza da parte della CEI (Comunità Episcopale Italiana) che farebbero rabbrividire ogni Paese civilizzato, non il nostro.
Ma, quando non ci sono fini ulteriori, la religione sa essere più moderna di molti movimenti politici.
La ragione è il disinteresse che la Chiesa vera ha nei confronti di ogni scopo di potere.

Oppure forse è proprio vero che Dio non è omofobo, la politica italiana sì.