‘mericano, ‘mericano:
You try livin’ alla moda,
But if you drink whisky-soda;
all you do is sing off key.
You play at baseball.
Go sigarettes you smoke;
leave your mama broke>>.
Renato Carosone, nella sua versione inglese, portata nel film La baia di Napoli – pellicola di produzione italo-americana girata tra Roma, Napoli e Sorrento – dalla ballerina Lucia (Sophia Loren) accompagnata alla chitarra da Paolo Carlini, sarebbe di lì a poco diventata un vero e proprio cult del cinema italiano.
La maestria con la quale la Loren, simbolo indiscusso della napoletanità, passa dal ruolo ironico e scanzonato della ballerina della Baia di Napoli all’intensità e drammaticità del personaggio di Cesira nella Ciociara, guardando alla sua Napoli, fa riecheggiare nella mente le celebri parole con cui l’artista statunitense Andy Warhol descriveva la città alle falde del Vesuvio: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York”. Lei, alla conquista di Hollywood, con la sua poliedricità, con le sue interpretazioni così diverse, ma tanto ugualmente intense, fa rivivere quasi quella Napoli che, nelle sue strade, nei suoi vicoli tanto uguali ma, al contempo, tanto diversi – così fortemente intrisi di storie comuni e familiari – nel suo viavai distratto, nelle sue mille facce, riesce sempre ad innamorare e, perché no, a suggestionare, in una dimensione sempiterna di rigenerazione perpetua. E allora, quasi in un gioco di specchi, sembra di vedere la Napoli bella, viva e vivida, e al tempo stesso, oscura e impenetrabile, nella sua parvenza eterna, insieme alla nostra Sophia nelle varie Filumena, Adelina, Cesira, Antonietta che l’attrice porta sullo schermo, tutte donne stoiche e fragili allo stesso tempo, che commuovono e coinvolgono lo spettatore in un vortice di emozioni contrastanti. La “vulcanica” Sophia di “Tuo vuò fa l’americano”, contrapposta alla forza espressiva e all’emotività della sua interpretazione nel capolavoro della Ciociara, ricorda quell’immagine immortale, quel topos vedutistico, tanto caro ai partenopei, del Vesuvio così vivamente raffigurato dallo stesso Warhol, dove il senso drammatico dell’evento risulta attenuato da una resa fortemente bidimensionale in un gioco di opposti di vita e di morte.
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