Napoli è nell’immaginario comune degli italiani la capitale della criminalità.
Al giorno d’oggi tutti paladini dell’apertura mentale, della cieca fiducia verso il prossimo, della speranza nella comunità cittadina dietro calde e comode tastiere di casa. Ma nonappena gli si parla male della propria città, il proprio pezzettino di terra, reale o psicologico che sia, difendono a spada tratta, spesso e volentieri in modo violento, chi azzarda a lasciarsi trasportare da un certo stereotipo rassicurante. Li chiamano “leoni da tastiera“. “Da tastiera” perché loro, come noi, non potranno mai liberarsi da alcune idee: sappiamo che sono sbagliate, false, generate dall’ignoranza, eppure…
L’immagine stereotipata è affollata da pistole, proiettili vaganti, gente che, sbraitando in dialetto, si lancia contro le peggiori ingiurie. Andate a guardare una qualsiasi delle tantissime interviste ai turisti in giro per Napoli che si trovano sul web: entusiasti della città, spiegano quanto siano meravigliati della tranquillità che vi hanno trovato. Ed è la verità: nelle indagini del Ministero dell’Interno del 2014 per la sicurezza delle città italiane relative ai dati del 2013, ciò che emerge è che i cinque comuni più pericolosi in Italia sono Milano, Rimini, Bologna, Torino e Roma. Napoli si posiziona solo al 36imo posto… Eppure, alzi la mano chi non ha mai guardato stupefatto una fotocamera candidamente appesa al collo di un visitatore qualsiasi, una valigia ingenuamente lasciata incustodita per qualche secondo, una borsa poco stretta sotto al braccio di una ragazza che passeggia per strada, comportamenti che spesso sono ignorati altrove. Faccio un mea culpa: anche io non posso fare a meno di guardarmi intorno in cerca di brutti ceffi quando sento dei passi dietro di me, anche a me a volte è capitato di evitare certe strade e certi quartieri per paura di spiacevoli episodi. Però non mi è mai successo niente. E inoltre, tutti i “racconti dell’orrore” sulla criminalità urbana appresi da amici e conoscenti erano ambientati nella maggior parte dei casi in città diverse dalla nostra, molto spesso all’estero.
Qui non si stanno negando i problemi o l’illegalità che si alimenta tutti i giorni dei comportamenti incivili della “città del sole”, ma si vuole proporre un’altra chiave di lettura di questo posto, scatenata dal luogo comune che rende schiavo chiunque metta piede su suolo napoletano.
Chi vi scrive ammette di trovarsi qualche volta vittima della prigione mentale descritta all’inizio, ma ogni volta che sento di cedere a queste idee logoranti, mi piace ricordare un episodio. Due estati fa, per l’inaugurazione della visita chiamata “Quore Spinato”, armati di mappa del quartiere, in due ci siamo immersi nella sera dei Quartieri Spagnoli. I Quartieri per l’occasione erano diventati una galleria d’arte a cielo aperto: ogni angolo, nascosto o a vista, presentava con fierezza i propri murales, tutti realizzati dagli artisti locali Cyop&Kaf. Con la stessa fierezza, gli abitanti ci indicavano i posti da vedere, le strade da percorrere, scambiavano due chiacchiere. Degli estranei entravano in “casa” loro, e i padroni di casa hanno offerto loro un metaforico caffè di benvenuto. Mi sono chiesta in quanti altri posti sarebbe successo… Quella che talvolta sembra una qasba blindata è in realtà un mondo che non vede l’ora di essere scoperto! Non ho mai avuto paura, non mi sono mai sentita in pericolo; l’unica sensazione che ricordo è il piacere di essere stata accolta con tanta gioia. Se si riuscisse a guardare oltre i confini tracciati da strade e rioni, la città improvvisamente diventerebbe più grande, più ricca di esperienze ancora da vivere!
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