Sono seduto con lui a bere un caffè.
C’è qualcosa nell’aria che sembra vapore sporco e che gli aleggia intorno mentre respira.
Guardo istintivamente la sigaretta che tiene tra le mani. Mi legge nella mente e mi dice: “E’ semplice tabacco” e butta fuori un’altra dose sottile di fumo scuro che gli si posa intorno come un vestito di aria.
Un flusso di gente ci passa accanto ininterrottamente, si ferma a guardare le vetrine. Una serie di volti illuminata dalle luci dei negozi per pochi secondi: uno dopo l’altro.
Lui li osserva. Li osservo anche io.
Iniziamo a parlare così: entrambi con lo sguardo sul volto di gente sconosciuta.
“Il caffè lo pago io” gli dico.
“Fai pure” mi risponde.
E’ giovane. Gli chiedo gli anni.
“Ho la tua età”
“Ma io non ti ho detto la mia”.
“So tutto di chi chiede di incontrarmi”
“Quindi sai che non voglio comprare nulla”
“L’avevo capito”
“Da cosa?”
“Da come parli della cosa. Dal fatto che non sai nemmeno riconoscere una sigaretta da una canna”.
Sorride un po’, poi torna a guardare altrove, come farà per tutta la conversazione.
La persona che ho di fronte ha gli occhi vispi che si guardano intorno, ma non avverto paura. La sua ricerca di sguardi è un’abitudine, come mi spiega con parole che mi danno l’idea vogliano assecondarmi. Un po’ spezzo quella tendenza, cerco di metterlo in difficoltà, ma ammetto di non riuscirci completamente.
Il suo stato è una calma apparente, un nervosismo nei dettagli, una punta di eccitazione quasi sessuale quando si parla dei rischi.
Spegne la sigaretta nel posacenere. Urta la tazzina che si rovescia e fa cadere anche l’ultimo rimasuglio di caffè sul piattino. Per un momento l’odore è più forte di quello di tabacco.
“Non fumi erba?” gli dico mentre con un gesto rifiuto la sigaretta che mi porge.
“Certo, ma preferisco stare a casa da solo quando lo faccio. C’è chi preferisce farlo in gruppo, con amici. Io invece amo la solitudine, la finestra aperta, anche quando fa freddo, la possibilità di mettere su musica se ne ho voglia. Spesso la buona musica fa più effetto di ogni cosa”.
Fa su e giù con la testa, segue il ritmo di una musica che sente solo lui in questo momento. Io la immagino e provo a seguirla con le dita, tamburellando sul tavolino di alluminio. Restiamo così troppo a lungo, ci perdiamo in un trip tutto nostro, fatti solo della fredda aria di dicembre.
“Vendi anche qualche cosa di più forte?”
“No”
“A me hanno detto di sì”
“Il problema non si pone visto che non devi acquistarla. Ma non mi va tanto di parlare di queste cose”
“E di cosa vorresti parlare?”
“Quando inizierai a comprare da me, quali cose vorresti provare?”
“Non inizierò a farmi”
“Non si parla di iniziare. Ci facciamo già di cose sin dall’infanzia.
Ci facciamo del latte di nostra madre, ci facciamo dell’odore del bianchetto, ci facciamo di Oki, di tachipirina, di Xanax e di Facebook. Ci facciamo dell’odore dei libri nuovi. Lo sai che anche io leggo tanto e non solo per l’università?”
“Cosa frequenti?”
“Economia. Ma da me ho pochi clienti, ne ho di più nella zona del centro storico, per lo più studenti di lettere e filosofia. Sempre cose abbastanza leggere però. Gli studenti non amano spendere troppo, a volte comprano in gruppo. Si eccitano più per l’idea della droga che per la droga stessa”
“E cosa ti piace leggere?”
“Letteratura dell’ 800. Magari ti saresti aspettato che leggessi solo i romanzi della Beat Generation, ma non voglio che quello che scriverai risulti banale, quindi provvedo da solo a dirti cose meno scontate”
“Anche io mi faccio di letteratura”
“Vedi? Un buon inizio”.
Poi si accende un’altra sigaretta e mi dice che tra un po’ deve andar via. “Devo portare un po’ di cose a un amico e poi in questa zona non posso farmi vedere troppo”
“Perché?”
Fa un gesto col viso. “Cosa da niente” sembra dire.
Quando si alza e va via, mi saluta senza darmi la mano. Sgrana gli occhi, fa sporgere le gengive in un sorriso un po’ forzato ma, credo, sincero.
“Qual era lo scopo di questa conversazione?” mi chiede mentre si alza, facendo strisciare rumorosamente le gambe della sedia sul pavimento.
“Credo che lo scopo principale non lo conoscessi nemmeno io. Immagino sia un’intervista fallita”. Ma lui già è andato via.
Sul tavolo una bustina con dell’erba.
Omaggio della casa.
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