L’autodeterminazione di questo mio popolo è strettamente legata al sonno del drago dormiente che giace intrappolato insieme a me nella bocca del Vesuvio.

E’ a lui che sono legata da tempi immemori, da quando sono stata relegata su questa terra. Numerose sono le leggende legate alla nascita del Vulcano. Ma nessuno sa che io risiedo nella sua bocca, a pochi metri dal Signore del fuoco, unico detentore delle sorti di questa città.

Il fuoco ha forgiato il carattere di ogni napoletano. Ecco da dove si origina il tratto distintivo degli abitanti di questa terra: la precarietà della vita. La diversità del mio popolo è ben altro, è un’antica radice che prende origine dal fuoco del Vulcano e che sin dalla nascita ci accompagna per l’intera esistenza.

I napoletani sanno bene che la loro vita alle pendici del Vesuvio è offerta al lungo riposo del Drago. In passato si è risvegliato molte volte, la sua coltre di lava ha sepolto ogni cosa. Siamo il popolo che si reinventa; che dal dolore e dalla distruzione trae la sua forza. Dalle macerie di una città in rovina rinasce e resiste ogni volta Partenope, custodendo dentro le sue mura invisibili la memoria storica di tutte le stirpi e le culture che l’hanno attraversata.

Siamo un popolo di diversi;
emarginato dalla storia, lentamente si spoglia del suo millenario manto di pregiudizi urticanti che a lungo l’hanno incatenata; degradandola a una città come tante, tenendola lontana da ciò che l’Occidente chiama “Capitale”. Racchiude in sé ogni tipo di contraddizione; lo raccontano la meraviglia della sua lingua, i contrasti artistici dei palazzi lungo le strade, i suoi caffè sospesi. Un popolo geniale, con il magma che scorre nelle vene, che ha tradito ed è stato tradito. Fedele solo a poche, pochissime cose. Tra tutte spicca il suo indissolubile amore per la maglia bianco-azzurra, che esige la divisa sporca di sudore e polvere soprattutto nella sconfitta.

Gente che merita di essere spazzata via dalla lava o almeno così mi sembra di aver sentito dire dalle curve degli stadi più lontani; sono giunti fino alla sua cima i cori di coloro i quali per la loro fede calcistica hanno nominato invano il risveglio del dormiente Vesuvio, ma il mio popolo focoso ha risposto con l’ironia. E’ l’ironia di chi conosce l’incertezza e sceglie di vivere senza fretta. Di chi abbraccia sin dalla nascita il dubbio dei suoi giorni sotto il riposo vigile del dio del mio vulcano.

 A voi, figli di una fede calcistica, che chiamate a squarciagola dalle curve dei vostri stadi il Vesuvio, lo invocate invano. Ignorate, nella vostra stoltezza, la bellezza e l’intensità di questo antico legame tra i napoletani e il dio del fuoco; che ci spinge a “campare alla giornata” senza alcuna paura per questo mare di fuoco che prima o poi ci inonderà.

Sì,“vedi Napoli e poi muori” è l’incanto di questo mio popolo eternamente sospeso tra acqua e fuoco. E’ l’incanto di Partenope, che resiste ed esiste ad ogni bagno di fuoco che ci sarà.

E’ quel saper campare, essenza della nostra napoletanità, che voi estranei a questo antico legame chiamate diverso perché non lo conoscete.